È ricorrente il quesito sull’estensione dell’obbligo contributivo per gli iscritti alla gestione Inps artigiani e commercianti. Storicamente l’obbligazione contributiva per tali imprese sorge al verificarsi del duplice requisito della abitualità e della prevalenza dell’attività prestata, come previsto dalle due leggi istitutive della tutela previdenziale: legge 463/1959 (artigiani) e legge 613/1966 (commercianti).
Sebbene l’obbligazione previdenziale di artigiani e commercianti si basi, quindi, sul lavoro concretamente prestato, l’Istituto di previdenza per lungo tempo ha imposto agli assicurati di assoggettare a contribuzione – in caso di redditi superiori al minimale – anche la quota di partecipazione in società di capitali, artigiane o commerciali, in cui il socio non prestava la propria attività lavorativa, e ciò anche qualora il reddito prodotto dalla società non fosse stato distribuito ai soci.
Questa interpretazione dell’Istituto – che imponeva, quindi, di assoggettare a contribuzione redditi non percepiti, derivanti dalla sola partecipazione di capitale ad una società artigiana o commerciale – aveva generato un costante e acceso contenzioso con gli iscritti alle gestioni Ivs-Art e Ivs-Comm, interessando in molteplici occasioni la Cassazione.
Nei tempi più recenti i giudici hanno ripetutamente cassato le richieste contributive dell’Inps (si vedano tra le tante le sentenze 21540/2019, 23790/2019, 23792/2019, 24097/2019, 4180/2021 e 25341/2022), consolidando così una linea interpretativa tesa a escludere l’obbligazione contributiva dai redditi prodotti da società di capitali, in cui il socio artigiano o commerciante non presta la propria attività in quanto socio di capitale, e tracciando in questo modo un netto discrimine ai fini previdenziali tra redditi d’impresa e redditi di capitale («il reddito di capitale non rientra tra quelli costituzionalmente protetti, per il quale la collettività deve farsi carico della libertà dai bisogni», Cassazione 23790/2019).
Il contrasto tra giurisprudenza di legittimità e prassi amministrativa può dirsi definitivamente risolto: il ministero del Lavoro, con nota prot. 7476 del 16 luglio 2020, ha condiviso l’orientamento della Corte e, in seguito, anche l’Inps ha aderito alla posizione del ministero con due circolari, la n. 84 del 10 giugno 2021 e la n. 88 del 21 giugno 2021.
La questione è ora definita, in ossequio ai principi che regolano il nostro ordinamento: ciò che rileva, quindi, ai fini del rapporto giuridico-previdenziale, è la natura della partecipazione dell’artigiano o commerciante nella società e, di conseguenza, la tipologia di reddito prodotto. Se si tratta di una partecipazione di solo capitale, il reddito prodotto non sarà mai imponibile ai fini contributivi, in quanto reddito di capitale; se si tratta invece di un apporto di lavoro, con conseguente reddito di impresa, allora sarà imponibile anche il reddito societario, indipendentemente dalla distribuzione ai soci.
Fonte: Il Sole 24ORE