Cerca
Close this search box.

Opere d’arte, la cessione continuativa è attività d’impresa anche senza organizzazione

La Cassazione: il contribuente che vende con regolarità va considerato come un imprenditore con gli annessi obblighi civilistici e fiscali, compreso - se dovuto - il pagamento dell’Irap

La cessione in via continuativa e abituale delle opere d’arte comporta l’esercizio di un’attività d’impresa commerciale. Ciò anche in assenza di un’organizzazione di beni finalizzati all’impresa, in quanto ai fini tributari è sufficiente che ci sia la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza esclusività della stessa. A precisarlo è l’ordinanza 1603/2024 della Cassazione.

Il caso

L’agenzia delle Entrate contestava a un contribuente maggiori imposte (Irpef, Iva e Irap) con riguardo all’attività di commercio di opere d’arte che lo stesso aveva compiuto nell’ambito della propria collezione privata

A seguito dei due gradi di merito, di cui il secondo rilevava parzialmente la fondatezza della ripresa erariale, l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione.

La decisione

I giudici di legittimità hanno rilevato che la nozione di impresa commerciale ai fini civilistici ha diversa rilevanza da quella rilevante per il diritto tributario. E, infatti, l’articolo 2082 del Codice civile, considera imprenditore chi svolge attività economica organizzata in modo professionale; l’articolo 55 del Tuir, invece, non richiede il requisito dell’organizzazione, ma il solo esercizio professionale abituale delle attività di cui all’articolo 2195, del Codice civile, anche se non svolte in modo esclusivo.

Le normative, dunque, divergono per il requisito dell’organizzazione dell’attività che, se è indispensabile per il diritto civile, non rileva per quello tributario; per tale ultima normativa, assume rilevanza la sola professionalità abituale dell’attività esercitata, intesa quale attività non meramente occasionale (sul punto, Cassazione, n. 6874/2023).

Ciò comporta che per essere d’impresa, l’attività deve essere svolta con stabilità e regolarità e che la stessa di protragga per un lasso di tempo apprezzabile.

Sul punto, la Corte ha poi distinto tra i vari operatori: si considera mercante d’arte colui che ne esercita abitualmente e professionalmente il commercio, con il fine ultimo di trarne profitto; è speculatore occasionale chi acquista con lo scopo di rivendere e conseguire un utile; è un mero collezionista chi acquista opere con scopi culturali, senza l’intento di rivendere i beni per realizzare una plusvalenza e che quindi ha lo scopo di incrementare i propri beni per il piacere di possedere le opere e per l’interesse all’arte.

La rilevanza ai fini reddituali delle cessioni compiute da un soggetto risiede dunque nell’abitualità delle operazioni compiute: l’esercizio dell’attività commerciale si fonda sull’esistenza di elementi significativi, idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità delle operazioni compiute, come il numero di transazioni eseguite, gli importi elevati, il numero di soggetti con cui si sono intrattenuti rapporti, la varietà della tipologia di beni alienati.

Inoltre, i giudici hanno precisato che è irrilevante che il profitto conseguito non sia in denaro ma sia stato capitalizzato in beni, in quanto ciò comporta comunque un intrinseco arricchimento del patrimonio personale del contribuente (Cassazione n. 8196/2008).

Ai fini Irap, invece, rileva l’esercizio autonomo e in forma individuale dell’attività, che esclude l’assoggettamento a detta imposta nel caso di piccolo imprenditore.

In conclusione, attenzione: il contribuente che vende con continuità opere d’arte, compresi monili e oggetti preziosi da collezione, va considerato come un imprenditore, con tutte ciò che ne consegue in tema di obblighi civilistici e fiscali.

Fonte: Il Sole 24ORE

Condividi questo articolo

Notizie correlate

Desideri maggiori informazioni su bandi, finanziamenti e incentivi per la tua attività?

Parla con un esperto LHEVO

business accelerator