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Il reato tributario non giustifica il sequestro di stipendi o pensioni

Cassazione n. 1877 depositata il 16 gennaio 2024: se la misura viene disposta sul conto il Pm dovrà limitarla ad altri importi.

In presenza di un reato tributario non si possono sequestrare per la futura confisca per equivalente le somme spettanti a titolo di stipendio, salario e pensione o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego. Ne consegue che ove venga sequestrata la disponibilità giacente su un conto bancario, sul quale affluiscono tali somme, il Pm dovrà limitare la cautela ai soli importi aventi natura differente, pena l’illegittimità del provvedimento.

A fornire questa interessante indicazione è la Corte di Cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza n. 1877 depositata il 16 gennaio 2024.

Nel corso di indagini per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture (articolo 2 del Dlgs 74/2000), nei confronti di un rappresentante legale di una Srl, venivano sequestrate le somme giacenti su un conto corrente cointestato tra il rappresentante legale e una signora, estranea al fatto illecito contestato.

Quest’ultima, impugnava il provvedimento rappresentando, tra l’altro, che il predetto conto era alimentato da rimesse derivanti dalla propria pensione con conseguente impignorabilità.

Il tribunale del riesame rigettava la richiesta di dissequestro rilevando, in estrema sintesi, che i versamenti del conto erano rappresentati da somme non solo provenienti dalla pensione dell’interessata, ma anche dalla Srl che aveva presentato la dichiarazione fraudolenta.

Peraltro, era onere dell’interessata, nella specie non assolto, provare concretamente tale differenziazione.

La Corte di Cassazione cui si rivolgeva la signora ha invece accolto il ricorso.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che il provvedimento cautelare può essere correttamente impugnato da un terzo rispetto alla vicenda, stante la lesione, nella specie, di un suo diritto soggettivo. Tra le righe peraltro, ancorché non oggetto dell’impugnazione, la sentenza evidenzia poi il recente – e mutato – orientamento della Corte, in ordine alla possibilità per il terzo ricorrente, avverso il provvedimento cautelare, di censurare anche la sussistenza del fumus e del periculum, in passato negato.

Secondo i giudici, in conseguenza anche della pronuncia delle Sezioni unite (26252/ 2022), i limiti di impignorabilità delle somme spettanti quale stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute per licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o assegno di quiescenza, previste dall’ordinamento civile (articolo 545 del Codice di procedura civile), si applicano anche al sequestro e alla confisca per equivalente ai fini penali.

Nella specie, essendo pacifico che sul conto erano affluite rimesse derivanti da crediti pensionistici dell’interessata, la misura cautelare avrebbe dovuto riguardare l’attivo finanziario differente da tali importi.

Da qui l’annullamento del provvedimento impugnato e il rinvio al tribunale del riesame affinché applichi nella specie, i predetti principi.

Fonte: Il Sole 24ORE

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