Cerca
Close this search box.

Residenza fiscale in Italia: «domicilio» legato solo alle relazioni personali e familiari

Dlgs 209/23: nuovo criterio territoriale per residenza e domicilio, escludendo "affari e interessi" nella definizione di domicilio.

Il primo articolo del decreto Internazionalizzazione (Dlgs 209/23) riscrive, con decorrenza dal 1° gennaio 2024, i criteri per determinare la residenza fiscale in Italia ex articolo 2, comma 2, del Tuir. Tra le novità principali di questo articolo 2 vi è infatti l’introduzione di un criterio sostanziale legato alla presenza sul territorio, ma anche il ridimensionamento della rilevanza formale dell’iscrizione all’anagrafe che ammette ora la prova contraria del contribuente.

Oltre alla presenza sul territorio, gli altri due criteri alternativi per considerare le persone residenti in Italia – se soddisfatti per la maggior parte del periodo di imposta – restano la residenza e il domicilio. Mentre non dovrebbe cambiare niente per la prima (anche se scompare il riferimento al Codice civile), il domicilio introduce una nuova e più stringente connotazione legata ai soli interessi personali.

Si tratta di una definizione fondamentale, atteso peraltro che l’individuazione del domicilio richiede un’analisi fattuale e non può essere oggetto di interpello all’amministrazione finanziaria (circolare 9/E/2016).

Come cambia la nozione di domicilio

Nella vecchia formulazione del comma 2 dell’articolo 2 del Tuir si faceva riferimento alla definizione di domicilio «ai sensi del Codice Civile», in base al quale il domicilio di una persona è «nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi», come previsto dall’articolo 43, comma 1, del Codice.

Il domicilio civilistico risulta pertanto collegato all’individuazione sia degli interessi economici che degli interessi personali della persona, senza che venga dato un ordine gerarchico ai due criteri.

Nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni il centro degli interessi vitali rileva, dopo l’abitazione permanente, come secondo criterio gerarchico nella tie break rule utile a dirimere i conflitti di doppia residenza tra i Paesi legati da Convenzione. Pertanto, quando una persona dispone di abitazioni permanenti in entrambi i Paesi firmatari, la residenza si determina in base allo Stato nel quale le relazioni personali ed economiche sono più strette e tra interessi personali ed economici non emerge una preferenza, come evidenziato dal Commentario che richiede di tenere conto delle relazioni familiari e sociali della persona, della sua occupazione, delle sue attività politiche, culturali o di altro tipo, della sede dei suoi affari, del luogo in cui amministra i suoi beni… raccomandando che le circostanze debbono essere esaminate nel loro complesso.

Il nostro legislatore fa invece una scelta netta: in base al nuovo testo dell’articolo 2 del Tuir, dal 2024 per domicilio si deve intendere «il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona».

Lascia pertanto perplessi la relazione illustrativa al decreto, che evidenzia come il nuovo domicilio avrebbe il pregio di sostituire il criterio civilistico di domicilio con un criterio di natura sostanziale, mutuato dalla prassi internazionale e dalle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni.

Onere della prova e regimi di favore

La nuova definizione di domicilio ha rilevanza anche ai fini dell’inversione dell’onere della prova di cui al comma 2-bis dell’articolo 2, per gli italiani che trasferiscono la residenza in Paesi black-list: così il residente monegasco dal 2024 dovrà dimostrare, oltre all’iscrizione all’Aire, di essere stato presente in Italia meno di 183 giorni e di non avere né dimora abituale, né legami personali e familiari “principali” potendo invece conservare interessi economici, patrimoniali e lavorativi nel nostro Paese.

Il nuovo concetto di domicilio (e di residenza in generale) rileva anche per l’accesso ai regimi di favore per i neo-residenti in quanto, ad esempio, l’opzione per il regime dei pensionati o dei “paperoni” di cui agli articoli 24-bis e 24-ter del Tuir richiede di giustificare l’assenza di residenza ai sensi del Tuir nei periodi di imposta precedenti a quello in cui l’opzione viene esercitata: pertanto, non dovrebbe più essere di ostacolo all’accesso ai regimi l’avere interessi economici e patrimoniali in Italia.

Più incerto è capire se i nuovi accessi ai regimi debbano tener conto della mutata definizione di residenza anche per i periodi di imposta fino al 2023: nel silenzio della norma, si ritiene che occorra far riferimento al testo pro tempore vigente e che quindi il criterio del domicilio vada analizzato separatamente prima e dopo il 2024.

Fonte: Il Sole 24ORE

Condividi questo articolo

Notizie correlate

Desideri maggiori informazioni su bandi, finanziamenti e incentivi per la tua attività?

Parla con un esperto LHEVO

business accelerator