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Agenti di commercio, esclusiva e patto di non concorrenza

Si tende a fare confusione tra queste due clausole, che è bene conoscere perché comportano obblighi da rispettare tra i contraenti.
  • Quando Al momento della stipula del contratto, in vigenza di esso ovvero alla cessazione del rapporto.

  • Cosa scade Pattuizione delle clausole di deroga all’esclusiva (in vigenza di contratto) e di divieto di concorrenza post-contrattuale.

  • Per chi Agenti di commercio operanti in qualsiasi forma a prescindere dal numero di mandati ricevuti.

  • Come adempiere La deroga dell’esclusione è solo eventuale. Il patto di non concorrenza, per coloro che non aderiscono agli AEC, non deve essere necessariamente a titolo oneroso.

1. Clausole contrattuali

La clausola di esclusiva ed il patto di non concorrenza sono clausole tipiche dei contratti di distribuzione.

La prima può essere formalizzata in vigenza dell’accordo mentre la seconda anche al termine del contratto.

Esse trovano una disciplina specifica nella normativa dedicata ai rapporti di agenzia.

Entrambe le clausole costituiscono strumenti necessari, sebbene non sufficienti ed indispensabili, per la realizzazione dell’integrazione verticale tra le imprese.

Nella prassi quotidiana, a volte, si tende a fare confusione tra queste due clausole, che è bene conoscere perché comportano obblighi da rispettare tra i contraenti.

2. La clausola di esclusiva

Per quanto concerne l’esclusiva, per comprenderla appieno è utile conoscerne la ratio , partendo dall’assunto che, tra il preponente e l’agente intercorre un rapporto fiduciario e, pertanto, la legge prevede che la loro relazione debba essere caratterizzata dall’esclusiva reciproca.

Il diritto di esclusiva costituisce elemento naturale, ma non essenziale del contratto, che si ritiene operante anche nel silenzio delle parti. Per eliminarne la vincolatività occorre, pertanto, un’espressa pattuizione ma detta previsione pattizia altera il rapporto di collaborazione fra le parti.

In breve, una importante caratteristica del contratto di agenzia è quella relativa alla pattuizione per cui il rapporto possa (debba, salvo diverso accordo tra le parti) essere «in esclusiva»:

– nella zona assegnata (l’esclusiva è garantita dalla casa mandante);

– nel senso che l’agente operi per quei prodotti o per quella specifica funzione soltanto per conto del suo preponente (l’esclusiva è garantita dall’intermediario).

Come detto, il diritto di esclusiva costituisce elemento naturale, ma non essenziale del contratto che si ritiene operante anche nel silenzio delle parti.

Dal punto di vista normativo, l’esclusiva viene disciplinata nell’ambito del contratto tipico di agenzia dagli articoli 1742 e seguenti del Codice civile.

L’origine dell’esclusiva nel contratto di agenzia è rinvenibile nella contrattazione collettiva ed in particolare negli accordi economici del 25 maggio 1935 e 30 giugno 1938, cui è seguita la disciplina organica del Codice civile, che con la disposizione dell’ articolo 1743 c.c. ne ha determinato l’esatta portata e, soprattutto, ne ha previsto la bilateralità (o reciprocità).

Scopo dell’esclusiva, soprattutto nel regime bilaterale sopra descritto, è quello di garantire alle parti un più stretto vincolo di collaborazione per assicurare la miglior distribuzione dei prodotti ed il successo delle rispettive attività imprenditoriali.

Si tratta in sostanza di una pattuizione contrattuale comportante l’impegno per uno o per entrambi i contraenti, di non concludere con terzi contratti analoghi o in concorrenza all’interno di una determinata zona e per un determinato periodo di tempo.

La zona di riferimento può coincidere con una determinata area geografica ma può anche essere individuata con criteri differenti che prendano in considerazione non solo le suddivisioni di carattere geografico, ma anche riferimenti a canali distributivi, gruppi di clienti, categorie di potenziali clienti e criteri misti.

Ulteriore particolarità dell’esclusiva è che la stessa ha carattere dispositivo e non vincolante ed è quindi derogabile ad opera delle parti mediante espressa pattuizione.

Dato che si tratta di una clausola naturale ma non per questo necessaria ed essenziale per la configurazione stessa del contratto, per eliminarne la vincolatività occorre un’espressa pattuizione.

Per quanto concerne la durata dell’esclusiva, stante la sua accessorietà, la stessa sarà di norma collegata al contratto principale, anche se non è esclusa la sua prosecuzione dopo la cessazione del contratto. In tale ultima ipotesi, come vedremo nel prosieguo, si tratta tuttavia di un patto di non concorrenza dopo la cessazione del contratto.

La situazione esistente durante la vigenza del contratto è diversa rispetto a quella che si verifica a seguito della cessazione del contratto.

Il diritto di esclusiva, in mancanza di diverse e specifiche pattuizioni, ha un ambito di efficacia che coincide con l’oggetto del contratto e pertanto gli affari non ricompresi tra quelli che l’agente deve promuovere per il preponente sono estranei al diritto di esclusiva contrattualmente previsto ( Corte di Cassazione 27 maggio 1996, n. 4872).

Quando, dunque, all’agente vengono conferiti diversi incarichi (da parte di diverse case mandanti (che riguardano generi di prodotti che per foggia, destinazione e valore d’uso siano diversi e infungibili tra loro (agente plurimandatario), egli non svolge attività in concorrenza e non viola alcuna esclusiva (si veda l’articolo 2 dell’Accordo Economico Collettivo – AEC – del 26 giugno 2002 del settore commercio, nonché l’articolo 2 dell’AEC del 20 marzo 2002 del settore industria).

L’agente può quindi trattare affari di più preponenti purché non in concorrenza tra loro (e fatta sempre salva una diversa pattuizione contrattuale). Tuttavia, il preponente molte volte non consente all’agente di operare nella zona assegnatagli anche nell’interesse di altre ditte. Pertanto, spesso nei contratti di agenzia è previsto l’obbligo dell’esclusiva, che impedisce all’agente di poter lavorare nella zona anche per conto di altri concorrenti del suo preponente.

Esempio di clausola

DIRITTO DI ESCLUSIVA

1. Il preponente si impegna a non concedere a terzi nella zona affidata all’agente il diritto di rappresentare o distribuire i prodotti oggetto del presente contratto. Il preponente rimane tuttavia libero di trattare direttamente, senza l’intermediazione dell’agente, con i clienti stabiliti nella zona affidata: su tali affari spetterà all’agente la provvigione stabilita sopra.

2 L’agente, dal canto suo, non potrà assumere l’incarico di trattare, nella zona ad esso affidata, sia direttamente che indirettamente, prodotti in concorrenza con quelli del preponente, né potrà commer¬cializzarli in proprio.

Oppure

1. Durante il periodo di vigenza del Contratto l’Agente si impegna a non svolgere, nella Zona – tanto direttamente quanto per interposta persona – alcuna attività di concessione, acquisizione, vendita, promozione e/o pubblicità in concorrenza con il Preponente e comunque con riferimento a settori commerciali analoghi a quelli in cui questi opera e che sono oggetto del Contratto, salvo quanto precisato ai successivi punti 2, 3 e 4.

2. Il Preponente autorizza l’Agente, anche in deroga a quanto previsto nel precedente punto 1, a proseguire l’attività relativa agli accordi di cui all’Allegato … sino alla scadenza naturale degli stessi.

3. L’Agente si asterrà dal partecipare od avere qualsivoglia interesse in qualsiasi altra impresa e/o soggetto concorrente, o comunque operante nel medesimo settore del Preponente.

4. L’Agente, tuttavia, ha facoltà di promuovere vendite per preponenti operanti in settori di mercato diversi da quelli afferenti ai Prodotti, salvo l’obbligo di darne immediata comunicazione scritta al Preponente.

La concorrenza va altresì esclusa, in via naturale (e quindi senza che sia necessaria un accordo tra le parti in tal senso), nel caso in cui l’agente tratti generi o prodotti che per qualità e destinazione d’uso siano differenti tra loro.

A tal proposito è doveroso evidenziare che l’agente esclusivista non deve essere confuso con l’agente monomandatario.

L’agente monomandatario è una figura particolare di agente, prevista nella contrattazione collettiva, che si impegna a prestare la propria attività in favore di un unico preponente.

L’agente monomandatario, al quale viene contrattualmente impedito di assumere incarichi per qualunque altro preponente, anche se relativi a prodotti non in concorrenza con quelli del preponente originario, deve quindi essere tenuto ben distinto dal concetto di esclusiva di cui all’articolo 1743 del Codice civile.

Difatti scopo dell’obbligazione contrattuale, che comporta l’impossibilità per l’agente di agire in favore di terzi, non è di evitare che l’agente promuova nella medesima zona la conclusione di contratti relativi a prodotti in concorrenza, ma esclusivamente di far sì che quest’ultimo dedichi tutte le proprie energie alla promozione dei prodotti di un solo preponente.

Pertanto, mentre potranno riscontrarsi nella prassi fattispecie in cui un agente plurimandatario conclude, in relazione alla medesima zona (o a zone differenti), più contratti in esclusiva per prodotti tra loro non in concorrenza, l’agente monomandatario, per definizione, non potrà che avere un unico preponente, indipendentemente dal tipo di prodotti e dalla zona di riferimento.

Strettamente collegato all’articolo 1743 del Codice civile è il secondo comma del successivo articolo 1748 (come modificato dal Dlgs 65/1999) che prevede il diritto dell’agente alla provvigione (indiretta) anche per gli affari conclusi dal preponente con clienti che l’agente aveva precedentemente acquisito per affari dello stesso tipo, o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, salvo che sia diversamente pattuito.

L’esclusiva, nel suo tipico regime bilaterale previsto dall’articolo 1743 del Codice civile, è senza alcun dubbio un elemento naturale del contratto di agenzia (applicabile automaticamente in caso di assenza di diverse pattuizioni; cfr. Corte di Cassazione 24 luglio 1999, n. 8053), ma non certo un elemento necessario ed essenziale, non assurgendo dunque a requisito di validità ed efficacia del rapporto.

In altri termini, l’esclusiva bilaterale costituisce una regola di carattere generale applicabile automaticamente ai contratti di agenzia laddove nulla sia disposto in proposito, ma suscettibile di deroga, potendo essere esclusa per entrambe le parti o solo per una di esse.

Alle parti viene quindi lasciata la più ampia libertà, e conseguentemente le stesse potranno prevedere nei singoli contratti un’esclusiva bilaterale, un’esclusiva unilaterale (in favore del preponente o dell’agente) o un contratto non in esclusiva.

Anche secondo la Corte di Cassazione 28 gennaio 1983, n. 797 il diritto di esclusiva previsto dall’articolo 1743 del Codice civile è l’elemento non già essenziale ma naturale del contratto ed è, quindi, derogabile per volontà delle parti, con l’ulteriore conseguenza che la deroga all’esclusiva in favore dell’agente comporta che a questo non spetti il diritto alla provvigione per gli affari conclusi nella zona direttamente dal preponente. Infatti, il diritto alla provvigione indiretta è concepibile in quanto la zona sia riservata all’agente in esclusiva, poiché l’articolo 1748 mira a tutelare l’agente, nell’ambito della zona a lui riservata, da ogni invasione del preponente, che si traduca in una sottrazione di affari e indebita appropriazione dei risultati della sua opera organizzatrice e promozionale.

Mentre la questione della derogabilità dell’esclusiva è stata risolta in senso positivo e senza eccessivi contrasti da dottrina e giurisprudenza, altrettanto non può dirsi per la differente problematica relativa alla forma che la volontà di deroga deve assumere per potersi ritenere efficace. Attraverso un articolato percorso giurisprudenziale oggi può considerarsi valida, ai fini della deroga dell’esclusiva, anche una manifestazione tacita di volontà.

Di un certo interesse è altresì il concetto di «stesso ramo di attività», utile al fine di stabilire quando possa ritenersi esistente una violazione dell’esclusiva. Gli accordi economici hanno tentato di dare una definizione in negativo del concetto di concorrenza, disponendo che non possono considerarsi in concorrenza generi di prodotti che per foggia, destinazione e valore d’uso siano diversi ed infungibili (chiarimento a verbale dell’articolo 2 degli AEC 26 febbraio 2002 e 20 marzo 2002).

La giurisprudenza invece ha affermato che la nozione di concorrenza non va individuata necessariamente con riferimento all’identità dei prodotti, essendo sufficiente che gli stessi siano rivolti ad una clientela anche solo potenzialmente comune (Corte di Cassazione 13 dicembre 1999, n. 13981).

Questa precisazione, se da un lato estende il campo di applicazione della norma, dall’altro parrebbe implicitamente riconoscere la possibilità di operare differenziazioni per fasce di clientela, tali da escludere l’esistenza di situazioni concorrenziali, consentendo agli agenti di ampliare la gamma di prodotti intermediati inserendone di complementari ed ai preponenti di differenziare la distribuzione di prodotti simili, appartenenti allo stesso ramo di attività, attraverso più di una rete in relazione a differenti fasce di clientela.

In un contratto di agenzia con esclusiva bilaterale, al preponente, seppure con le limitazioni evidenziate dalla giurisprudenza, parrebbe consentito, fermo il divieto di nominare altri agenti, concludere affari nella zona o con i clienti affidati all’agente.

Tuttavia, si ritiene che l’ipotesi sia da circoscrivere alle «vendite passive», con ciò non consentendo al preponente lo svolgimento di attività di promozione diretta nelle zone concesse in esclusiva.

In questo caso, in applicazione dell’articolo 1748, comma 2, Codice civile, è comunque salvo il diritto dell’agente alla provvigione sempreché il contratto sia in esclusiva, in quanto laddove il regime venga derogato anche la provvigione per affari diretti potrebbe venire meno.

Nella disciplina specifica del contratto di agenzia non si rinviene alcuna particolare disposizione in relazione all’efficacia soggettiva dell’esclusiva, applicandosi quindi la regola generale in base alla quale l’esclusiva ha effetti vincolanti esclusivamente tra le parti, agente e preponente (salva l’ipotesi di deroga) senza che possa configurarsi alcuna efficacia nei confronti dei terzi.

Analogamente, laddove sia l’agente a violare il vincolo di esclusiva assumendo incarichi, o comunque promuovendo la conclusione di affari relativi a prodotti di ditte concorrenti, il preponente potrà rivalersi esclusivamente sull’agente e non sui concorrenti.

3. Il patto di non concorrenza

Il patto di concorrenza è il contratto in base al quale è fatto divieto all’agente di svolgere attività in concorrenza con il preponente per il periodo successivo alla cessazione del contratto di agenzia. Esso consente di tutelare l’avviamento e la clientela dell’impresa molto più efficacemente di quanto possano consentire le norme contro la concorrenza sleale. Poiché la limitazione alla concorrenza può implicare una significativa restrizione della capacità lavorativa dell’agente, l’articolo 1751-bis del Codice civile, come vedremo, pone alcuni precisi limiti di validità per tale patto.

L’accordo può essere stipulato sia al momento della conclusione del contratto di agenzia, sia successivamente, in corso del mandato o addirittura alla sua cessazione.

Secondo una regola di carattere generale il datore di lavoro / la casa mandante ha la facoltà, qualora lo ritenga opportuno, di vincolare l’attività del proprio prestatore di lavoro / dell’agente stipulando un patto di non concorrenza. Tale patto è finalizzato ad impedire che al cessare del contratto di intermediazione, l’agente assuma incarichi in concorrenza con quelli in precedenza svolti per il preponente.

Si tratta di un patto previsto dall’articolo1741-bis del Codice civile (disposizione introdotta dal Dlgs 10 settembre 1991, n. 303 e modificata dall’articolo 23, legge 422/2000) che produce i suoi effetti dopo la cessazione del rapporto di lavoro, non potendosi sostenere la sua esecuzione durante il periodo in cui viene espletata l’attività.

La citata Direttiva Europea stabilisce, tra l’altro, che la limitazione dell’attività professionale dell’agente dopo la cessazione del contratto può essere prevista solo per iscritto e deve riguardare una specifica zona nonché il gruppo di persone affidato all’agente o anche le merci per le quali il rappresentante espletava la propria attività. Il tutto per un periodo massimo di due anni.

Il patto di non concorrenza dopo la cessazione del contratto, che trova il suo fondamento nella volontà delle parti, risulta espressamente previsto nel nostro Codice civile da tre norme specifiche e più precisamente dall’articolo 2125 (in tema di rapporto di lavoro subordinato), dall’articolo 2557 (in materia di alienazione dell’azienda) e dall’articolo 1751-bis (disciplina del contratto di agenzia).

Si tratta in concreto di una limitazione della libertà di iniziativa economica di una delle parti al fine di evitare un pregiudizio all’altra parte. A fronte di quest’obbligo, la cui estensione deve tuttavia essere compresa entro limiti ben precisi, come sottolineato dalla copiosa giurisprudenza emessa in tema di rapporto di lavoro subordinato, ad evitare che la parte gravata dell’obbligo di non fare si trovi nella pratica impossibilità di agire, è di norma previsto un compenso (obbligatorio quanto meno nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato).

Compenso che peraltro non appare necessario qualora la situazione sia regolata dall’articolo 2596 del Codice civile in tema di limiti alla concorrenza. Difatti, in linea generale, quanto meno nei rapporti tra imprenditori, dovendo escludere la norma di cui all’articolo 2125 del Codice civile dettata per il solo rapporto di lavoro subordinato («Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo … se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro»), bisogna riferirsi alla disposizione dell’articolo 2596 Codice civile che, in tema di restrizioni alla concorrenza stabilisce una durata massima di 5 anni ed una limitazione ad una zona determinata e ad un determinato settore di attività, senza prevedere alcun diritto ad un compenso. Si tratta evidentemente di una disposizione che limita ampiamente la concorrenza anche dopo la cessazione del contratto.

Molto più limitato è invece lo spazio concesso dall’articolo 1751-bis del Codice civile in tema di contratto di agenzia che prevede un regime certamente non sfavorevole per l’agente, soprattutto laddove integrato con i criteri di calcolo dell’indennità, così come previsti dagli accordi economici collettivi.

Il patto di non concorrenza dell’agente nel Codice civile

Secondo l’articolo 1751-bis «Il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto.

L’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento:

1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo;

2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia;

3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente;

4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente».

Nel contratto di agenzia l’obbligo di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto, a differenza di quanto già evidenziato in tema di esclusiva, non costituisce una pattuizione naturale bensì un accordo meramente eventuale, il cui inserimento rischia di risultare estremamente oneroso per il preponente a fronte del disposto del 2° comma dell’articolo 1751-bis del Codice civile.

Prima dell’entrata in vigore del Dlgs 10 settembre 1991, n. 303, emesso in attuazione della Direttiva 18 dicembre 1986, n. 653, e della successiva legge comunitaria del 2000 (legge 29 dicembre 2000, n. 422), la situazione era più favorevole al preponente. Il patto di non concorrenza a carico dell’agente dopo la cessazione del contratto non era infatti disciplinato dalla normativa applicabile al contratto di agenzia (sia civilistica che contrattual-collettiva) e veniva dunque disciplinato ricorrendo al disposto dell’articolo 2596 Codice civile (Corte di Cassazione 6 novembre 2000, n. 14454), dedicato ai limiti contrattuali della concorrenza. La norma si limitava a prevedere la forma scritta ad probationem, una durata non superiore a cinque anni e la necessaria limitazione ad una zona o alternativamente ad un’attività determinata (Corte di Cassazione 21 giugno 1995, n. 6976).

Non era previsto alcun compenso in favore dell’agente, anche se il suo eventuale riconoscimento da parte del preponente veniva ritenuto legittimo dalla giurisprudenza (Corte di Cassazione 2 ottobre 1998, n. 9802), mentre l’estensione territoriale del patto poteva non coincidere con la zona in concreto affidata all’agente, assumendo proporzioni anche più vaste.

Infine, anche il disposto dell’articolo 2125 Codice civile in tema di rapporto di lavoro subordinato era, e lo è tuttora, correttamente ritenuto non applicabile analogicamente al contratto di agenzia in virtù del principio di specialità delle norme dettate in tema di rapporto di lavoro subordinato (Corte di Cassazione 23 novembre 1990, n. 11282).

Con l’emanazione del Dlgs 10 settembre 1991, n. 303, che con il suo articolo 5 ha inserito nel Codice civile l’articolo 1751-bis che regola espressamente il patto di non concorrenza a carico dell’agente dopo la cessazione del contratto di agenzia, la situazione è radicalmente mutata.

Come sopra visto, quest’ultima norma prevede che il patto di non concorrenza debba essere redatto per iscritto, prevendendo in tal modo la forma scritta tra i requisiti di validità della clausola. Il patto deve inoltre riguardare la stessa zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia ed avere una durata non superiore ai due anni successivi all’estinzione del contratto. Una durata eccedente tali termini comporta l’automatica riduzione entro quelli appena indicati.

Deve ritenersi nullo il patto che non indichi in maniera specifica la zona (ovvero la circoscriva in un ambito eccedente a quello previsto in vigenza del contratto; cfr. Corte di Cassazione 16 settembre 2010, n. 19586), la clientela e il genere di beni e servizi di cui l’agente non potrà occuparsi per un determinato periodo successivo alla risoluzione del rapporto, che indichi una zona più ampia rispetto a quella dove l’agente ha svolto la propria attività, oppure quando i prodotti menzionati siano diversi o comunque più ampi, anche nel genere e nella tipologia, rispetto a quelli che l’agente aveva il compito di commercializzare (Corte di Cassazione 11 giugno 2015, n. 12127).

È invece valida la clausola con cui l’agente conceda al preponente l’opzione irrevocabile al patto di non concorrenza, con la conseguenza che – in una simile fattispecie – il patto potrà perfezionarsi solo nel caso in cui il datore di lavoro eserciti l’opzione, con la conseguenza che, in difetto di tale dichiarazione, l’agente deve ritenersi libero di espletare la propria attività per conto di terzi (Corte di Cassazione 13 giugno 2003, n. 9491; 12 giugno 2014, n. 13352; 4 aprile 2017, n. 8715; 2 gennaio 2018, n. 3).

Esempio di clausola

PATTO DI NON CONCORRENZA

1. Successivamente alla cessazione del presente contratto, per il periodo di 2 (due) anni, l’Agente si obbliga a non svolgere nel Territorio, come sopra individuato, alcuna attività di promozione e/o vendita di prodotti e/o servizi in concorrenza con quelli trattati per conto della Preponente.

2. Quale corrispettivo degli obblighi derivanti dal patto di non concorrenza, la Preponente pagherà all’Agente, dopo […] dalla cessazione del rapporto di agenzia, un importo complessivo pari a […] mensilità calcolate sulla base della media mensile di provvigioni corrisposte nel corso degli ultimi … anni solari antecedenti alla cessazione del rapporto.

3. Qualora l’Agente sia inadempiente rispetto a quanto previsto al paragrafo 1 che precede, l’Agente dovrà pagare alla Preponente, a titolo di penale, un importo pari ad Euro […] per ogni violazione, salvo il risarcimento dell’eventuale danno ulteriore.

La disciplina del patto di non concorrenza inserita nel Codice civile dal Dlgs 303/1991 non prevedeva, peraltro in perfetta adesione al testo della direttiva, alcun corrispettivo in relazione all’esatto adempimento degli obblighi derivanti dal patto di non concorrenza dopo la cessazione del contratto. Ciò poneva l’agente in una posizione di inferiorità rispetto al preponente, che viceversa aveva tutto l’interesse ad inserire nel contratto il patto di non concorrenza, anche in relazione all’assoluta assenza di corrispettivo. Tale era ed è peraltro la disciplina prevista dalla direttiva, che nulla dispone in tema di corrispettivo e che quindi legittimava l’inquadramento dell’obbligazione in termini di gratuità.

Con l’entrata in vigore dell’articolo 23, legge 29 dicembre 2000, n. 422 è stato inserito un nuovo secondo comma nell’articolo 1751-bis del Codice civile, prevedendo espressamente il diritto dell’agente ad un’indennità, di natura non provvigionale, in relazione all’accettazione del patto di non concorrenza dopo la cessazione del contratto.

La norma, inoltre, individua un criterio principale di quantificazione, costituito dall’accordo tra le parti, che dovranno tener conto degli accordi economici nazionali di categoria e commisurare l’indennità alla durata del patto di non concorrenza (nel limite biennale di cui al 1° comma dell’articolo 1751- bis citato), alla natura del contratto di agenzia ed all’indennità di fine rapporto.

L’articolo 23, al comma 2 della legge comunitaria del 2000 prosegue precisandone l’entrata in vigore ed i limiti soggettivi di applicabilità.

In linea generale il nuovo comma si applica esclusivamente agli agenti che esercitano la propria attività in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con socio unico.

Alle società di capitali con più di un socio potrà applicarsi il nuovo secondo comma dell’articolo 1751-bis solo nel caso in cui le stesse siano costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali e laddove ciò sia previsto dagli accordi economici nazionali di categoria. L’AEC 26 febbraio 2002 del settore commercio prevede espressamente questa possibilità per le Srl.

Il 2° comma prevede inoltre la coincidenza tra il sorgere del diritto all’indennità e l’accettazione del patto di non concorrenza.

Nel caso in cui, come molto spesso accade, il patto è inserito all’interno del contratto il diritto all’indennità sorge al momento della sua conclusione e non in relazione all’effettivo adempimento dell’obbligo di non concorrenza da parte dell’agente.

Questa circostanza potrebbe risultare problematica nel caso in cui il preponente al momento della cessazione del rapporto, o nel corso dello stesso, intendesse liberare l’agente dall’obbligo di non concorrenza e non corrispondergli conseguentemente l’indennità relativa. In tale ipotesi, essendo il diritto già sorto al momento dell’accettazione del patto, è ragionevole supporre che ai fini della validità della rinuncia del preponente, e soprattutto per l’esclusione del compenso, sia necessario l’accordo espresso dell’agente.

Quanto al momento in cui si pattuisce la clausola, oltre all’ipotesi tipica in cui il patto di non concorrenza viene inserito direttamente nel testo del contratto al momento della sua conclusione, le parti possono stipularlo anche durante lo svolgimento del rapporto, all’atto della sua cessazione, o in un momento successivo.

Ulteriore caratteristica del secondo comma dell’articolo 1751-bis del Codice civile è costituita dal momento in cui l’indennità deve essere corrisposta all’agente: tale momento coincide infatti con la cessazione del rapporto e prescinde quindi dal corretto adempimento da parte dell’agente dell’obbligo assunto. In altre parole, il preponente dovrà prima pagare l’importo dovuto a titolo di indennità e, solo successivamente, verificare se l’agente abbia o meno adempiuto all’obbligo di non concorrenza.

Da ultimo, in tema di quantificazione dell’indennità gli accordi economici collettivi del 2002 hanno previsto una disciplina molto precisa, che finisce tuttavia per rendere estremamente oneroso il patto di non concorrenza, giungendo a riconoscere all’agente, per un patto di durata biennale, un importo che può raggiungere una annualità di provvigioni calcolate sulla media di quelle corrisposte negli ultimi 5 anni o nell’intero rapporto, se di durata inferiore.

ESEMPIO

Caso 1

Mario Rossi, agente di commercio monomandatario, ha cessato il rapporto di agenzia con l’impresa Verdellino Srl, che applica l’AEC Industria.

Il mandato, che conteneva il patto di non concorrenza per la durata di 8 mesi, si è concluso entro il quinto anno di durata.

L’indennizzo spettante al Sig. Rossi è pari a:

8/12 del 40% di 8 mensilità = 8/12 di 3,2 mensilità = 2,13 mensilità

Caso 2

Giovanni Verdi, agente di commercio monomandatario, ha cessato il rapporto di agenzia con l’impresa LumakOne Srl, che applica l’AEC Industria.

Il mandato, che conteneva il patto di non concorrenza per la durata di 16 mesi, si è concluso entro il quinto anno di durata.

L’indennizzo spettante al Sig. Verdi è pari a:

Per il primo anno: 12/12 del 40% di 8 mensilità = 12/12 di 3,2 mensilità = 3,2 mensilità

Per il secondo anno: 4/12 del 60% di 8 mensilità = 4/12 di 4,8 mensilità = 1,6 mensilità

Totale Indennizzo: 4,8 mensilità

Il 2° comma dell’articolo 1751-bis Codice civile, una volta enunciati i parametri generali dell’indennità (durata del patto, natura del contratto) individua un primo e principale criterio di quantificazione, costituito dall’accordo delle parti che quindi, nel rispetto dei predetti parametri, possono pattuire liberamente l’indennità dovuta all’agente tenendo tuttavia conto degli accordi economici collettivi. Gli accordi economici collettivi possono rappresentare in questo caso un limite nei casi in cui le Parti non siano iscritte o non vi abbiano fatto espresso richiamo e nei rapporti internazionali sottoposti al diritto italiano.

Al criterio generale dell’accordo tra le parti la norma prevede un meccanismo sostitutivo di quantificazione, con il ricorso ad una valutazione equitativa da parte del giudice, il quale da un lato dovrà attenersi ai parametri generali di quantificazione sopra enunciati, e dall’altro valutare anche i seguenti quattro specifici:

1) alla media dei compensi percepiti dall’agente nel corso del rapporto e la loro incidenza sul fatturato complessivo dell’agente nello stesso periodo. Si tratta di una mera attività contabile da espletare;

2) alle cause di cessazione del contratto. È di tutta evidenza che laddove il rapporto sia cessato su iniziativa dell’agente o per fatto a questo imputabile la quantificazione equitativa dell’indennità sarà diversa rispetto ad una ipotesi di cessazione del rapporto per recesso del preponente con la concessione del regolare termine di preavviso o in tronco per fatti non imputabili all’agente;

3) all’ampiezza della zona affidata all’agente nel corso del rapporto di agenzia;

4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente ovvero al fatto che l’agente sia o meno monomandatario.

La violazione del patto da parte dell’agente dà diritto al preponente:

– alla restituzione degli importi eventualmente già versati a tale titolo;

– al risarcimento degli eventuali danni, che possono essere predeterminati anche attraverso la previsione di una penale, sollevando così il preponente dall’onere di provare gli stessi (ad esempio l’articolo 14 dell’AEC Industria prevede una penale di ammontare non superiore al 50% dell’indennità percepita dall’agente per la stipulazione del patto);

– di richiedere l’esecuzione in forma specifica del patto, normalmente ottenuta attraverso una domanda giudiziale di inibitoria affinché l’agente non svolga la propria attività a favore del nuovo preponente, e chiedendo soltanto il risarcimento dei danni che si siano verificati prima della concessione dell’inibitoria (Corte di Cassazione 16492/2002).

In conclusione, in presenza di un sistema caratterizzato da una indubbia onerosità in considerazione dei criteri di quantificazione previsti dalla contrattazione collettiva, l’inserimento in un contratto di agenzia di un patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto deve sempre essere valutato attentamente, effettuato con molta cautela e solo in caso di assoluta necessità, al fine di evitare di trovarsi dinanzi a richieste spropositate da parte dell’agente a fronte di un’utilità non sempre determinante.

4. Aspetti fiscali del patto di non concorrenza

Secondo l’articolo 1751-bis del Codice civile l’indennità non ha natura provvigionale.

Questa locuzione, però, significa solo che non è dovuta la contribuzione.

Ma, dal punto di vista:

A) dell’imposizione diretta, trattandosi di indennità che va a sostituire la mancata percezione di un reddito (articolo 6, comma 2 del Tuir) – ossia volta a ristorare l’agente dei mancati introiti conseguenti al divieto di sfruttare a proprio favore la clientela acquisita nell’esecuzione del rapporto contrattuale (parere Fondazione Studi Consulenti del Lavoro 15 marzo 2012, n. 9) – la somma debba essere assoggettata ad imposizione fiscale.

Secondo altra impostazione, l’indennità – se percepita da persone fisiche – potrebbe essere inquadrata tra i redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di non fare (articolo 67, comma 1, lettera l) del Tuir).

Qualora l’agente operi come persona fisica come società di persone si applicherà la tassazione separata di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), del Tuir, al pari delle altre somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di agenzia. Qualora l’agente operi nella forma di società di capitale l’indennità concorrerà alla formazione del reddito d’impresa ai sensi dell’articolo 85, comma 1, lettera a) del Tuir (ricavi);

B) dell’Iva, secondo la nota agenzia delle Entrate 17 dicembre 2001, n. 2001/179539 – in risposta ad un quesito posto da Assonime – le somme spettanti all’agente, in dipendenza dell’accettazione del patto di non concorrenza dopo lo scioglimento del contratto di agenzia, non rappresentano, in virtù della natura non provvigionale, il corrispettivo per una prestazione di servizi, bensì una forma di risarcimento (si veda la circolare Assonime 2/2002). L’amministrazione finanziaria «ritiene che la sua corresponsione rimanga esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA per mancanza del presupposto oggettivo». Da qui un’ulteriore conferma che la predetta indennità non debba essere assoggettata a contribuzione Enasarco.

Invero, chi scrive ritiene che l’indennità in parola rappresenti il corrispettivo per un obbligo di fare, non fare o permettere, di cui all’articolo 3, comma 1, Dpr 633/1972 non potendo, la qualificazione (quale somma erogata a titolo non provvigionale) operata dalla norma nazionale prevalere sui principi generali dell’ordinamento unionale in materia dell’Iva, imposta armonizzata (Corte di Giustizia Ue sentenze 5 febbraio 1963, causa C-26/62, Van Gend & Loo; 16 gennaio 1974, causa C-166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf).

I giudici comunitari hanno affermato in più occasioni che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso» e, pertanto, configura un’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, allorché tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, causa C-270/09). A parere di chi scrive non vi è dubbio alcuno circa il fatto che l’indennità è erogata quale corrispettivo in favore dell’agente che deve astenersi dal compiere attività in concorrenza con quella del preponente (si vedano anche le considerazioni e la giurisprudenza citata in Risposte Interpello 212/2022, 401/201 e 356/2021).

Fonte: Il Sole 24ORE

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