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Ricerca e sviluppo, con i controlli sostanziali contestata sempre l’inesistenza

Correlata l’inesistenza con l’esigenza di istruttorie complesse. Con la convenzione tra Entrate e Gdf i controlli non saranno solo formali.

Le Sezioni unite della Cassazione, con le pronunce 34419/2023 e 34452/2023, dopo una ricostruzione storico-normativa della materia anche in relazione all’ articolo 13, comma 5 del Dlgs 471/1997, ha stabilito il criterio in base a cui distinguere i crediti inesistenti dai crediti spettanti. Da qui scaturiscono le ricadute ai fini dei termini di decadenza per la rettifica erariale (otto anni dall’utilizzo o cinque dalla dichiarazione), della reazione sanzionatoria anche penale (100% o 30%) e dell’iscrivibilità a ruolo a titolo straordinario dell’intero carico.

In sintesi, il discrimen dipende dalla contemporanea sussistenza di due requisiti: il credito è inesistente quando manca un presupposto costitutivo e tale carenza non è facilmente intercettabile in base all’attività di controllo automatizzato o formale di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973. In sostanza, per la Cassazione ciò che rileva è la circostanza oggettiva se il difetto del presupposto costitutivo del credito è agevolmente rilevabile in sede di rettifica formale, di mero riscontro cartolare della dichiarazione, cioè sulla base della documentazione richiesta dall’ufficio ed esibita dal contribuente.

Tale approccio ermeneutico ha una sua ratio di fondo: se l’illegittimo utilizzo del credito è immediatamente intercettabile sulla base dell’analisi estrinseca della documentazione inviata dal contribuente senza che siano necessarie una più intensa attività istruttoria, un’articolata valutazione di tipo giuridico o un’interpretazione della normativa di riferimento (per il credito R&S, la legge 160/2019, il decreto Mise del 26 maggio 2020 e il Manuale Ocse di Frascati), allora trattasi di un’ipotesi di credito non spettante. Se invece, sempre sul piano oggettivo, da appurare a posteriori, l’irregolarità per essere scoperta richiede un accertamento sostanziale, una verifica più approfondita e pregnante, ne consegue – quasi – proporzionalmente che, a fronte di tale sforzo e di tale più complessa attività di verifica, trattasi di credito inesistente, con le relative perniciose conseguenze per il contribuente infedele.

Per connessione di argomento va considerata anche la struttura delle procedure di controllo automatizzato e formale. Nel senso che proprio perché in tale ambito si presuppone un’attività abbastanza semplice per l’erario – destinata ad apprezzare in termini quasi automatici, ictu oculi, errori o violazioni commessi nella determinazione dell’imponibile e dell’imposta dichiarate oppure del credito spettante, non dipendenti dalla risoluzione di questioni giuridiche o tecniche – ne scaturisce quasi immediatamente l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo ex articolo 14 del Dpr 602/1973, previa apposita comunicazione al contribuente.

Così ricostruito l’ambito di applicazione del controllo automatizzato e formale, con particolare riguardo alla verifica dei crediti di imposta per R&S, gli è che nel concreto la casistica risulta diversa, anche a motivo della convenzione in materia tra agenzia delle Entrate e Guardia di finanza. Infatti, le contestazioni dei relativi presupposti costitutivi (tramite pvc, per lo più concernenti il requisito della novità, l’inerenza dei costi eleggibili, le qualifiche del personale eccetera) implicano un’attività istruttoria più complessa, una verifica di merito sul piano tecnico, giuridico e tributario, quindi un’attività più pregnante e complessa, come tale per definizione non riconducibile allo schema classico del controllo formale della dichiarazione, quand’anche l’impresa beneficiaria esibisca tutta la documentazione a supporto del credito R&S (relazione tecnica, certificazione contabile, contratti, reportistica eccetera).

Dunque, su tali basi, resta da capire se la regola è che il credito R&S in contestazione risulta in definitiva quasi sempre inesistente, mentre l’eccezione è il credito non spettante, con i conseguenti riflessi negativi per l’impresa beneficiaria. In ogni caso, la conclusione deve essere in sintonia con i principi di proporzionalità della sanzione e ragionevole durata dei termini entro cui deve avvenire la rettifica erariale; ciò a fortiori nei casi in cui il comportamento del contribuente non risulta né infedele né artificioso e quindi di ostacolo all’accertamento, non arrecando alcun pregiudizio all’azione di controllo. Forse vi porrà rimedio la riforma fiscale in attuazione dell’ articolo 20 della legge 111/2023.

Fonte: Il Sole 24ORE

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