Gli agricoltori che, oltre al reddito agrario dichiarano un reddito di impresa, ai fini del rinvio del secondo acconto delle imposte devono tener conto del volume d’affari. La legge di conversione del Dl Anticipi (Dl 145/2023) aggiunge un periodo nell’articolo 4 in cui precisa i requisiti necessari affinché gli agricoltori possano beneficiare della proroga.
La norma oggetto di modifica è quella che ha previsto lo slittamento del termine per procedere al versamento del secondo acconto delle imposte, in scadenza lo scorso 30 novembre. La norma dispone che le persone fisiche titolari di partita Iva che nel periodo d’imposta precedente dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore a 170mila euro effettuano il versamento della seconda rata di acconto dovuto in base alla dichiarazione dei redditi entro il 16 gennaio 2024, oppure in cinque rate mensili di pari importo (maggiorate degli interessi), a decorrere dal mese di gennaio, aventi scadenza il giorno 16 di ciascun mese. Dalla proroga restano esclusi i contributi previdenziali e assistenziali e i premi assicurativi Inail che, quindi, andavano versati entro novembre scorso.
La norma è chiara nell’individuare il perimetro soggettivo, vale a dire l’essere persona fisica titolare di partita Iva, mentre il riferimento a «ricavi» e «compensi» aveva generato qualche perplessità per i contribuenti che operano nel settore agricolo. Infatti, gli agricoltori che determinano i redditi catastalmente (quindi in base alle regole dell’articolo 32 del Tuir) non dichiarano ricavi bensì un reddito fondiario; quelli che svolgono una attività diversa da quelle produttive di reddito agrario dichiarano un reddito di impresa avvalendosi di criteri forfettari del reddito parametrati ai corrispettivi e, pertanto, anche in questo caso, non dichiarano ricavi o compensi.
Sul tema, era intervenuta l’agenzia delle Entrate con la circolare 31/E dello scorso 9 novembre nella quale era stato chiarito che gli agricoltori fruiscono del differimento solo se, nel 2022, siano titolari di reddito d’impresa, quindi solo nel caso di svolgimento di attività che eccedono i limiti del reddito agrario (ad esempio, allevamenti eccedentari, attività connesse aventi ad oggetto beni esclusi da decreto ministeriale, produzione di vegetali oltre il secondo piano) oppure non comprese nell’articolo 32 stesso (agriturismo, produzione di energia, fornitura di servizi). Il criterio fissato dalla circolare per verificare la soglia dei 170.000 euro è che, in luogo dei ricavi, occorre considerare l’ammontare del volume d’affari, vale a dire il campo VE50 del modello IVA 2023.
La conversione in legge del Dl 145/2023 va in tal senso prevedendo espressamente che per i titolari di reddito agrario, che siano anche titolari di reddito d’impresa, il limite di ricavi e compensi pari a 170mila euro si intende riferito al volume d’affari.
Né la circolare prima, né la norma ora prevedono alcuna distinzione tra gli agricoltori che dichiarano un reddito di impresa avvalendosi di criteri forfettari (che compilano il quadro D del modello di dichiarazione) e di quelli che, invece, determinano il reddito analiticamente (e che compilano i quadri G o F del modello). Pertanto, può dedursi che, in ogni caso, debba essere considerato il rigo VE50 per la determinazione della soglia.
Si ricorda, infine, che qualora un contribuente abbia differito il versamento per errore, ha la possibile di sanare la propria posizione versando la sanzione di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/1997 (30% dell’importo non versato) avvalendosi del ravvedimento operoso.
Fonte: Il Sole 24ORE