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Deducibilità costi infragruppo, è necessaria l’inerenza della spesa

La controllata è tenuta ad allegare gli elementi che dimostrano l'utilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi dalla controllante.

In tema di costi infragruppo, affinché il corrispettivo, riconosciuto alla capogruppo o alla società incaricata del servizio a beneficio di altra consociata, sia deducibile dalla società che lo riceve, occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia adeguatamente documentata, anche se a quei costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto. L’onere di provare l’esistenza dei costi e la loro inerenza grava sulla controllata che dichiara di aver ricevuto il servizio. E’ il principio ribadito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 28976 del 18 ottobre 2023.

La vicenda controversa all’esame della Cassazione è scaturita da una verifica della Guardia di Finanza, a seguito della quale l’Agenzia delle entrate notificò tre differenti avvisi di accertamento nei confronti di una Spa, contestando e recuperando a tassazione, per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008, costi ritenuti indeducibili riguardanti le royalties corrisposte dalla contribuente alla casa madre, in ragione del contratto dell’1 aprile 1994, per la cessione del know how relativo alla fabbricazione di motori di cilindrata superiore ai 300 cc.
La società impugnò i tre atti impositivi i cui ricorsi vennero accolti in primo grado.
L’Ufficio interpose gravame contro detta pronuncia la quale venne confermata dalla Ctr Abruzzo. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria propose tre distinti ricorsi per cassazione. I giudici di legittimità, riuniti i tre giudizi, con l’ordinanza n. 19001/2021 così decisero: “Accoglie i ricorsi riuniti, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere in ordine alle spese del presente giudizio.

Riassunto il giudizio in sede di rinvio, la Ctr dell’Abruzzo, con la sentenza n. 475/2022, ha accolto gli appelli erariali e, in riforma delle appellate sentenze della Ctp ha rigettato i ricorsi originari della contribuente. Avverso quest’ultima pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione – affidandolo a tre motivi – al quale ha resistito l’Agenzia con proprie controdeduzioni in replica.

La Cassazione, con ordinanza n.28976/2023 in commento, ha rigettato il gravame di legittimità proposto dalla parte condannandola alla rifusione delle spese processuali.
La Cassazione, in linea generale, ha richiamato, in quanto ritenuto utile, il decisum della stessa Corte rassegnato nella precedente ordinanza n.19001/2021 in base al quale “Dalla ricostruzione in fatto che emerge dalle sentenze impugnate, dai ricorsi e dai controricorsi, è pacifico che la società madre Ltd e la società consociata italiana il 1° aprile 1994 hanno sottoscritto un contratto col quale quest’ultima ha acquisito la licenza di fabbricare, utilizzare e vendere prodotti (tra cui i motori) nell’ambito del territorio comunitario, nonché di ottenere le informazioni tecniche per la fabbricazione, cessione ed utilizzo dei prodotti medesimi.
Il tutto a fronte di un corrispettivo (royalty) pari ad una percentuale del costo del venduto determinato in 3,5% per i motocicli di 600/1000 cc. e gli scooter di 300 cc. e in 2% per i motocicli di cilindrata inferiore.
È, altresì, pacifico che i motori di cilindrata superiori ai 300 cc. delle cui royalties si tratta, non venivano realizzati dalla società licenziataria italiana, ma «sono acquistati perfettamente funzionanti dalla casa madre giapponese» e che le royalties, nella misura sopra indicata, venivano corrisposte anche per le informazioni tecniche relative ai motori, il tutto con un’incidenza pari al 32,34 del costo del venduto.
In tutte le sentenze impugnate, la CTR dando centralità al principio civilistico di autonomia contrattuale, ha ritenuto che le obbligazioni scaturenti dal contratto concluso inter partes non fossero frazionabili e che la loro previsione provasse, di per sé, l’inerenza dei costi e, quindi, delle royalties in maniera del tutto svincolata dall’utilità di impresa.”.

La questione posta con i tre ricorsi ha trovato soluzione nella recente sentenza n. 17535/2019 della Cassazione il cui principio di diritto afferma che “in tema di reddito di impresa, ai fini della deducibilità dei costi infragruppo derivanti da accordi cost sharing agreements, la deducibilità è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, sulla quale grava l’onere di specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante”.

È stato chiarito (cfr., sentenza Cassazione n.8001/2021) che a tal fine può ritenersi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate – quali le attività direzionali, amministrative, legali e tecniche – o la fatturazione dei corrispettivi, richiedendosi, specifica allegazione da parte del contribuente di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio e ciò anche in base al canone della vicinanza della prova (Cassazione n. 13588/2018, n. 11942/2016, n. 19600/2014, n. 21184/2014, n. 13300/2017).
Tali principi trovano la loro ratio, oltre che nelle disposizioni vigenti in materia (art. 109 Tuir), nel maggiore rigore che vige nella valutazione delle operazioni intercompany (Cassazione n. 16480/2014) in considerazione di quanto emerso dalla pratica di impresa che ha visto, troppo spesso, il diffondersi di operazioni aziendali che nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate sono poi sfociate in operazioni elusive.

Di qui, il consolidarsi del principio giurisprudenziale su richiamato secondo cui per i costi infragruppo l’onere della prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cassazione n. 32422/2018, n. 23027/2015, n. 8808/2012, n. 11949/2012, tutte richiamate da Cassazione n. 17535/2019).

Il collegio intende dare continuità al principio di diritto richiamato, di contro considerando che il diverso approccio della contribuente, offerto in controricorso e in memoria, trascura quegli orientamenti dell’Ocse, secondo cui, in tema di prestazione di servizi infragruppo, occorre procedere al cd. benefit test, ovverosia a verificare se l’attività considerata conferisca all’impresa un vantaggio inteso a migliorare la posizione economica o commerciale della stessa (Guidelines Ocse, 18 luglio 2010, capitolo VII).
Il che risulta in linea con quell’approccio rigoroso, in tema di arbitraggi di derivazione Ocse, di cui v’è ampia – e non contraddetta – traccia nel formante giurisprudenziale di legittimità (Cassazione n. 23164/2017, n. 16480/2014 e n. 26851/2009).

Nel caso di specie, i Supremi giudici, con l’ordinanza in commento, hanno rilevato che il principio espresso dalla più volte richiamata ordinanza n. 19001/2021 ha trovato ulteriore continuità nella recente affermazione che “In materia di costi cd. infragruppo, affinché il corrispettivo, riconosciuto alla capogruppo o alla società incaricata del servizio a beneficio di altra consociata, sia deducibile dalla società che lo riceve, occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata, anche se a quei costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto; ne consegue che l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sulla contribuente controllata che affermi di aver ricevuto il servizio, tenuta ad una specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio” (cfr Cassazione n. 2599/2023).

In conclusione, la Cassazione, nell’ambito dei due giudizi di legittimità svolti sulla complessa vicenda controversa, ha, in sintesi, evidenziato e ribadito che non può ritenersi sufficiente, da parte della controllata, l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante – quali le attività direzionali, amministrative, legali e tecniche – o la fatturazione dei corrispettivi, richiedendosi, al contrario, specifica allegazione da parte del contribuente di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cassazione n. 8001/2021 e n. 19001/2021).

Fonte: Agenzia delle Entrate

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