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Videosorveglianza nell’impresa, quando è possibile senza autorizzazione

La Cassazione, sentenza n. 46188 depositata oggi, traccia i limiti di utilizzo delle telecamere in mancanza di accordo sindacale.

Nessuna condanna penale per l’installazione non autorizzata di un impianto di videosorveglianza all’interno della impresa – nel caso un bar – se non viene anche provato che vi lavorano dei dipendenti e che le telecamere sono idonee ad un penetrante controllo dell’attività lavorativa. Ma l’azione è scriminata anche quando le telecamere sono nascoste per consentire l’accertamento di “gravi violazioni”. La Cassazione, sentenza n. 46188 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una piccola esercente condannata dal Tribunale di Messina alla pena di 3mila euro di ammenda, ricapitola le regole in materia di videosorveglianza e controllo dei lavoratori.

Nel ricorso la donna aveva lamentato che la decisione mancava di due indicazioni fondamentali, e cioè: se l’impianto era preposto alla registrazione e se l’imputata fosse datrice di lavoro di qualcuno. Ebbene, deduceva, l’impianto era a circuito chiuso e non implicava alcuna registrazione mentre l’azienda non aveva dipendenti.

La Terza sezione penale ricorda che la presenza di lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza “è requisito imprescindibile per la configurabilità del reato”. Il reato, prosegue, sulla base di quanto previsto dall’articolo 15 Dlgs 10 agosto 2018, n. 101, che costituisce la disposizione incriminatrice, è integrato dalla violazione dell’articolo 4, comma 1, legge 20 maggio 1970 n. 300, previsione a sua volta diretta a regolamentare l’uso, da parte del datore di lavoro, degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori».

Mentre, continua la sentenza, non è configurabile la violazione (di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970 – tuttora penalmente sanzionata in forza dell’art. 171 Dlgs n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018) “quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente riservato per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”.

La sentenza impugnata, osserva la Cassazione, è lacunosa sotto entrambi i profili considerato che il Tribunale di merito si è limitato a dare atto che nel bar erano stati installati un monitor cinque telecamere in difetto di espressa autorizzazione, “senza però precisare né se nell’esercizio commerciale gestito dall’imputata prestassero servizio dei lavoratori subordinati di questa, né, in ogni caso, se l’impianto di videosorveglianza implicasse un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessità di mantenerlo “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”.

Una valutazione che ora dovrà fare il tribunale del rinvio.

Fonte: Il Sole 24ORE

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