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Niente tassazione sulla penale: basta quella sul contratto

La clausola penale è fiscalmente connessa al contratto in cui è inclusa; non è tassata separatamente tramite l'imposta di registro.

La clausola penale non è soggetta ad autonoma tassazione con l’imposta di registro, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita: la tassazione del contratto in cui è presente la penale “assorbe” pertanto la rilevanza tributaria della clausola penale. È questa la decisione contenuta nella sentenza di Cassazione n. 30983 del 7 novembre 2023.

In tale pronuncia, affrontando un caso privo di precedenti nella giurisprudenza di legittimità, si afferma dunque che la penale si sottrae all’applicazione della norma di cui al primo comma dell’articolo 21 del Dpr 131/1986 (il Testo unico dell’imposta di registro). Secondo questa norma, tutte le disposizioni contenute in un contratto sono suscettibili di autonoma tassazione.

La questione

La penale si presta pertanto a essere osservata ai sensi del successivo secondo comma, secondo il quale la pluralità delle disposizioni contenute in un atto genera una sola tassazione (che è quella afferente alla disposizione dalla quale deriva l’imposta più elevata) quando dette disposizioni «derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre».

Né importa che, quale penale per un ritardo (come tipicamente accade nei contratti di locazione), sia pattuito un tasso di interesse moratorio eccedente quello legale: anche se, in tal caso, non si verte tecnicamente nell’ambito di una clausola penale, si ha pur sempre una pattuizione che ha caratteri di intrinseca e necessaria derivazione.

Con questa decisione, la Cassazione dovrebbe aver messo la parola fine a una pluridecennale e assai spinosa differenza di vedute tra fisco e contribuenti, mai sopita probabilmente perché, dal lato del contribuente, non si è mai insistito più di tanto: si sta parlando infatti dell’applicazione di un’imposta di registro con l’aliquota del 3 per cento e pertanto assai spesso pari alla misura fissa di 200 euro. Cioè un importo che sconsiglia in radice l’attivazione di un contenzioso e induce ad acquietarsi verso la pretesa del fisco, pur se appare ingiusta.

Invero, per penali più consistenti, vi è spesso il ricorso al cosiddetto “scambio di corrispondenza”, il che confina l’applicazione dell’imposta di registro al rarissimo verificarsi del caso d’uso.

La posizione delle Entrate

L’agenzia delle Entrate ha più volte ribadito – ad esempio, nelle risoluzioni 310388/1990 e 91/E/2004; nella nota della direzione regionale (Dre) della Lombardia del 12 luglio 2013 e nella nota della Dre del Lazio del 16 maggio 2016; nella risposta a interpello 246/2022 – che la clausola penale ha una propria individualità e, come tale, deve essere tassata in quanto disposizione «avente contenuto patrimoniale».

Le sentenze di merito

La giurisprudenza di merito ha oscillato tra poche decisioni che hanno accolto l’opinione dell’agenzia delle Entrate e molte decisioni che l’hanno contrastata per le stesse ragioni che ora sono state addotte dalla Cassazione a sostegno della sua odierna decisione sulla non applicabilità dell’imposta di registro alla clausola penale.

La sentenza di legittimità

La Cassazione osserva dunque che la clausola penale, da un lato, ha lo scopo di sostenere l’esatto adempimento delle obbligazioni originate dal contratto nel quale essa è contenuta e che, pertanto, non ha una causa “propria” e distinta, ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca al contratto in cui è inserita. D’altro lato, la Cassazione ha osservato che la clausola penale non può evidentemente sopravvivere in autonomia rispetto al contratto al quale accede.

In altre parole, la penale, per sua inscindibile funzione e intrinseca natura, è da considerare unitariamente rispetto al contratto nel quale viene contemplata, in quanto prestabilisce e specifica, per il caso di un eventuale inadempimento, l’obbligo risarcitorio che è altrimenti regolato direttamente dalla legge.

La prestazione prefigurata nella caparra e tutte le altre prestazioni originate dal contratto sono infatti riconducibili a un’unica causa, dato che il legislatore ha concesso alle parti di un contratto di inserire la predeterminazione del danno risarcibile direttamente nel contenuto del contratto.

In sostanza, non potendo affermarsi che la penale e le altre clausole del contratto all’interno del quale la penale è stata inserita siano rette da cause diverse e separabili, ne discende la conseguenza di doverle considerare tutte derivanti, per loro intrinseca natura, le une dalle altre e, quindi, tassabili solo limitatamente a quella che dà luogo all’imposizione più onerosa.

Fonte: Il Sole 24Ore

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