Tra le società di capitali, le imprese manifatturiere contribuiscono al 30,7% del gettito Ires, e per il 20% dell’Irap. Ciò significa che – sostituendo l’imposta regionale con una maggiorazione dell’Ires – ci sarebbe per queste aziende un aggravio del carico fiscale. Un aumento che finirebbe per vanificare gli stessi criteri fissati dalla legge delega. Come forma di salvaguardia il Parlamento ha aggiunto il paletto della «invarianza del carico fiscale». È uno degli spunti emersi nel convegno organizzato a Roma alla Luiss dal Sole 24 Ore con Rassegna Tributaria, introdotto da un intervento di Franco Gall0, seguito da tre tavole rotonde tematiche su Irpef, tassazione delle imprese e risvolti internazionali – sintetizzate nella colonna a fianco – e chiuso con un confronto finale fra esponenti di istituzioni e categorie.
Il superamento dell’Irap non è uno dei capitoli della riforma fiscale che saranno attuati per primi, ma è un buon indicatore della complessità di tutta l’operazione, come ha sottolineato anche la direttrice generale di Confindustria, Francesca Mariotti. Ogni norma che si va a modificare è interconnessa con le altre. Perciò, come ha affermato il direttore generale di Assonime, Ivan Vacca, «servono regole interpretative chiare», un quadro di riferimento che consenta agli operatori di muoversi senza incertezze.
Il convegno – dedicato al cinquantenario delle nuove imposte sui redditi – ha offerto anche l’occasione per riflettere sul ruolo e le prospettive dell’Irpef nell’orizzonte di una riforma che punta – sia pur entro fine legislatura – verso l’obiettivo della flat tax.
Sempre nel dibattito conclusivo, il consigliere del Cndcec delegato alla fiscalità, Salvatore Regalbuto, ha ricordato che oggi circa un contribuente su quattro – tra le persone fisiche – non paga l’Irpef. E al di sopra della soglia dei 100mila euro (dalla quale potrebbe scattare il taglio progressivo delle tax expenditures dal 2024) si colloca una piccola percentuale di contribuenti, costituita per lo più da dirigenti, manager e pubblici impiegati ad alto reddito, come i magistrati. In sostanza, ha spiegato Regalbuto, «oggi l’Irpef la paga principalmente la classe media, che ha perso potere d’acquisto per via dell’inflazione». C’è poi una questione di definizione che non è solo nominalistica: «Oltre i 50mila euro di reddito, da quest’anno si paga l’aliquota del 43%, su questo bisognerà fare un ragionamento di prospettiva, spostando il prelievo e alzando il livello reddituale a partire dal quale scatta questo prelievo».
L’impressione, insomma, è che serva una nuova fiscalità dei redditi capace di far fronte a condizioni mutate. Cinquant’anni fa l’Italia non aveva una pressione fiscale particolarmente elevata, la popolazione era più giovane e il debito pubblico contenuto. «Ecco perché vorrei che si ragionasse anche sulla fiscalità della previdenza complementare, in un Paese in cui molti giovani hanno redditi bassi e discontinui», ha osservato Benedetto Santacroce, esperto del Sole 24 Ore. Il tutto senza facili illusioni. Perché, come ha rilevato Francesca Mariotti, «tagliando le tax expenditures è difficile ricavare facili tesoretti. Piuttosto, è dai mille miliardi di spesa pubblica che si possono trovare le coperture».
Fonte: Il Sole 24Ore