Con la risposta a interpello 353/2023 l’agenzia delle Entrate conferma che nel caso di scissione parziale in favore di una società già esistente, essendo per natura esclusa la retrodatazione degli effetti fiscali dell’operazione, la beneficiaria non dovrà tener conto delle limitazioni previste dall’articolo 172, comma 7, del Dpr 917 del 1986, richiamato dall’articolo 173, comma 10, del medesimo decreto con riferimento alle perdite, agli interessi ed alle eccedenze Ace generate nel periodo interinale, ossia nel periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta fino al giorno prima dell’efficacia giuridica dell’operazione.
Queste considerazioni prendono le mosse dalla disciplina dettata in caso di retrodatazione della fusione – applicabile nel solo caso di scissione totale –, ipotesi in cui tutte le società partecipanti alla fusione, compresa la società incorporante, dovranno determinare un proprio «risultato di periodo», relativo all’intervallo temporale che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione.
L’eventuale «perdita» sarà assoggettata, insieme alle perdite fiscali pregresse del soggetto partecipante alla fusione, alle disposizioni dell’articolo 172, comma 7, del Tuir, ossia ai test di vitalità ed al rispetto dei limiti del patrimonio netto. Ciò in quanto nel caso di retrodatazione si forma un risultato di periodo e parimenti una perdita fiscale di periodo.
Circostanza che invece non si verifica in assenza di retrodatazione, posto che la società fusa o incorporata chiude anticipatamente il proprio periodo d’imposta alla data di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria. Sempre in caso di assenza di retrodatazione, la società risultante dalla fusione o incorporante non interrompe il proprio periodo d’imposta, ma determina un risultato complessivo relativo all’intero esercizio in cui viene attuata la fusione.
Regole queste, che risultano applicabili anche alle scissioni.
Con particolare riferimento alla scissione parziale, in relazione alla quale, come detto, per definizione non può verificarsi una retrodatazione degli effetti fiscali, si verifica sempre “l’effetto di attribuire alla beneficiaria una parte dell’eventuale risultato reddituale negativo generato dalla società scissa nel periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della scissione”. Pertanto, alle posizioni soggettive della scissa vanno applicate le limitazioni in commento.
Nel caso sottoposto all’attenzione dell’agenzia delle Entrate la società scissa non è dotata di posizioni soggettive da riportare e la beneficiaria preesistente non registra alcuna interruzione del proprio periodo d’imposta, determinando un risultato complessivo relativo all’intero esercizio in cui viene realizzata la scissione, alla cui formazione concorrono anche le operazioni poste in essere per effetto dell’aggregazione patrimoniale a partire solo dalla data di efficacia giuridica dell’operazione.
Pertanto, la beneficiaria preesistente dovrà sottoporre al test del patrimonio netto, le sole posizioni fiscali «maturate alla data di chiusura dell’ultimo periodo d’imposta prima della data di efficacia giuridica della scissione (…) che risultino a tale data nella sua disponibilità e che non siano state trasmesse al consolidato nazionale», ossia le «perdite realizzate in esercizi anteriori all’ingresso nel consolidato», nonché l’«eccedenza di interessi passivi ed eccedenza Ace che, anche se maturate in esercizi di vigenza del consolidato fiscale, risultano nella disponibilità della società».
Viceversa, il limite del patrimonio netto non deve essere applicato alle eccedenze di interessi passivi e di Ace generate nel periodo interinale.È stato evidenziato come, ai fini della risposta, l’agenzia delle Entrate valorizzi che «la società risultante dalla fusione o incorporante (…), in assenza di retrodatazione, non registra un’interruzione del proprio periodo di imposta in conseguenza della fusione».
Sul punto Assonime nella circolare 31 maggio 2007, n. 31 (paragrafo 4.7), sollevava alcune perplessità in relazione all’impostazione adottata da parte dell’agenzia delle Entrate secondo la quale le limitazioni di cui al comma 7 dell’articolo 172 del Dpr 917 del 1986 sarebbero state applicabili anche alle perdite della società incorporante che vengono a compensarsi per effetto della retrodatazione con i redditi della società incorporata, redditi che, in assenza di retrodatazione, sarebbero stati autonomamente assoggettati ad imposizione.
Assonime evidenzia come per individuare le perdite dell’incorporante da sottoporre alle limitazioni sopra citate, con ogni probabilità, dovrebbe farsi riferimento al risultato di periodo della stessa, pur trattandosi di periodo ancora in fieri.
Questa circostanza, secondo Assonime, stride con l’eventualità che il «risultato negativo della società incorporante relativo alla frazione di esercizio “ante” fusione non resti confermato alla chiusura di tale esercizio, risultando, invece, riassorbito dai risultati positivi conseguiti dalla stessa società nella frazione di periodo “post” fusione». In altre parole, ove la perdita “ante” fusione sia prodotta dalla società incorporante, «non si può prescindere dal verificare se questa perdita esista a chiusura del suo esercizio», in quanto «solo se continua a perdurare a tale data e nella misura in cui non sia stata riassorbita, essa dovrà essere sottoposta alla verifica di congruità», senza considerare che «non si possono far discendere dalla norma introdotta conseguenze più gravose di quelle che si sarebbero verificate in assenza di retrodatazione».
Assonime prosegue evidenziando che non è revocabile in dubbio che i risultati pre e post fusione dell’incorporante – oltre a quelli post fusione dell’incorporata – confluiscono in un unico risultato che viene assunto a base di riferimento dell’imposizione, a prescindere dalla circostanza che si sia optato o meno per la retrodatazione.
Non sussiste infatti alcun fondamento che legittimi un trattamento di diverso nel caso in cui l’incorporante decida di avvalersi della retrodatazione.
In definitiva, non sarebbe legittimo operare la distinzione tra periodo pre e post fusione, neanche nel caso in cui la società incorporante «produca risultati negativi nella frazione “post” fusione o incrementi, in tale frazione, i risultati negativi già in fieri nella frazione “ante” fusione. Si dovrebbe, cioè, in ogni caso far riferimento, ai fini in esame, al risultato finale d’esercizio della società incorporante (escludendo solo il reddito positivo della società incorporata conseguito nella frazione d’esercizio “ante” fusione)». Secondo Assonime questo approccio consentirebbe di garantire una migliore aderenza alle finalità della norma in esame, tesa a sottoporre a verifica le perdite che grazie alla retrodatazione la società incorporante porta a diretta compensazione dei redditi della frazione “ante” fusione della società incorporata, che non può escludere le perdite della società incorporante che vengono a esistenza nella frazione di esercizio “post” fusione e che non sarebbero state compensate in assenza di retrodatazione.
Naturalmente, le considerazioni espresse possono essere mutuate anche per le operazioni di scissione.
Le critiche mosse da Assonime ben sedici anni fa rimangono ancor oggi attuali, in considerazione della circostanza che con la pronuncia in commento non viene superata l’impostazione risalente al 2006 fatta propria da parte dell’agenzia delle Entrate.
Sedici anni fa, come oggi, sarebbe auspicabile un revirement della posizione dell’Agenzia, in modo tale da rispettare in maniera più compiuta il dettato normativo ormai entrato a regime, evitando ingiuste diversità di trattamento a seconda che un’operazione di fusione o scissione che sia venga o meno retrodatata.
Fonte: Il Sole 24 Ore