Più volte, sulle pagine del Sole 24 Ore, sono state evidenziate le varie incongruenze della regolarizzazione delle criptoattività: a partire dal fatto che si condona per il passato qualcosa che la stessa legge di Bilancio 2023 regolamenta solo da quest’anno.
A generare ulteriori perplessità sono le conclusioni a cui è giunto il provvedimento del 7 agosto (n. 290480/2023), il quale ha stabilito che, quanto al monitoraggio fiscale, possono essere sanate solo le criptoattività rappresentate da criptovalute, mentre ai fini reddituali si possono regolarizzare sia eventuali redditi derivanti da criptovalute che da altre criptoattività. Tutto questo pur in presenza di una legge che – come detto – ha stabilito gli obblighi di monitoraggio e reddituali dal 2023 per tutte le criptoattività, criptovalute comprese.
Occorre inoltre rilevare che, in relazione ai redditi non dichiarati derivanti da criptoattività (tutte), il comma 140 della legge di Bilancio 2023 stabilisce che i medesimi “redditi” possono essere regolarizzati pagando un’imposta sostitutiva «nella misura del 3,5 per cento del valore delle attività detenute al termine di ciascun anno o al momento del realizzo».
La norma fa riferimento a un’imposta sostitutiva, senza però specificare quali imposte sostituisce. Immaginiamo si tratti dell’Irpef e di eventuali addizionali. Ma se è così, perché il contribuente dovrebbe pagare un’imposta sostitutiva di un tributo (Irpef e addizionali) per il quale “a monte” non si è realizzato alcun presupposto impositivo? Ci spieghiamo meglio, seguendo le linee guida delle Entrate: se un contribuente ha semplicemente detenuto crypto e non ha nemmeno effettuato operazioni crypto su crypto (oltre i 51.645 euro), non doveva pagare alcunché a livello di tassazione per le annualità in cui si sono verificate simili condizioni. Il presupposto impositivo si sarebbe realizzato – secondo l’Agenzia – solo nell’anno in cui, ad esempio, si fossero conseguite delle plusvalenze per effetto della vendita delle crypto.
Tuttavia, se si seguono le istruzioni del modello di regolarizzazione, il contribuente che ha conseguito plusvalenze (tassate, secondo l’impostazione delle Entrate) nel 2021 e ha detenuto le crypto dal 2018, dovrebbe pagare il 3,5% sul valore di queste ultime per ciascun anno dal 2018 al 2020 e il 3,5% sul valore delle crypto (attenzione: non sulla plusvalenza) al momento del realizzo nel 2021. In pratica: è stata creata un’imposta sostitutiva anche per annualità in cui non c’era affatto alcun presupposto impositivo.
Altro paradosso può avvenire nel caso in cui avvenga un riacquisto di criptovalute nello stesso anno del realizzo, generando il raddoppio della base imponibile. Forse per questo il legislatore ha (aveva) fatto riferimento al valore delle attività al termine di ciascun anno “o” al momento del realizzo. Congiunzione che il provvedimento attuativo, pur generando più di un dubbio, ha subito trasformato in “e”.
Fonte: Il Sole 24 Ore