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La contabilità «parallella» di un fornitore può bastare come prova presuntiva anche per la cessionaria

Un impianto contabile parallelo a quello ufficiale permette di contestare maggiori imponibili anche in capo alla società cessionaria.

Il rinvenimento, presso una società terza fornitrice, di un impianto contabile parallelo a quello ufficiale permette di contestare maggiori imponibili, in forza di prova presuntiva, anche in capo alla diversa società cessionaria, che da tali documenti risulti aver acquistato merce “in nero”. A precisarlo è l’ordinanza 19758/2023 della Cassazione.

La pronuncia approfondisce il tema della rilevanza della prova indiziaria nel contesto tributario sottolineando come il giudizio di merito, espresso dai giudici di primo e secondo grado in punto di valore e attendibilità degli elementi presuntivi, non necessariamente debba esaurirsi in un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità; ma possa essere esposto al vaglio del giudice delle leggi, quanto alla corretta applicazione dei criteri di legge regolanti la formazione della prova per presunzione di cui si discute.

In giurisprudenza, è da dirsi consolidato l’assunto dell’utilizzabilità da parte dell’Erario, ai fini dei recuperi fiscali, degli elementi acquisiti da documenti contabili non ufficiali, pure stilati da soggetti terzi o conservati presso di essi, in termini sicuramente di accertamento analitico-induttivo in base all’articolo 39, comma 1 lettera d), del Dpr 600/1973 (Cassazione 34724/201929543/201817420/2016), quando non addirittura di accertamento induttivo puro facente leva su dati e notizie comunque raccolti, a prescindere da qualunque altro elemento (Cassazione 19598/2003).

Il caso

Nel caso esaminato dalla sentenza in commento, tuttavia, entrambi i giudici di primo e secondo grado avevano negato valore ai dati ritratti dai documenti extracontabili della società terza cedente, motivando circa la non conoscibilità di tali contenuti da parte della società cliente (per non essere stato il Pvc a carico della prima allegato all’accertamento della seconda); e per mancare, tali dati, di approfondimenti istruttori specificamente svolti a carico della società cessionaria.

La pronuncia della Cassazione

La doppia conforme a favore della società contribuente è stata sovvertita dalla pronunzia di Cassazione, la quale ha innanzitutto sgombrato il campo dalla prima censura, rilevando come i contenuti delle indagini e del pvc a carico della società fornitrice dovessero dirsi largamente noti alla società cessionaria, per essere stati trasfusi a loro volta nel pvc notificato alla società ricorrente e quindi nella motivazione dell’accertamento, in base all’articolo 7, comma 1, della legge 212/2000.

Ciò chiarito, la Suprema corte ha quindi cassato la conclusione del giudice d’appello, secondo cui le Entrate non erano state in grado di fornire congrua prova a supporto delle contestazioni fiscali: per dover essere invece ricercata, tale prova, nella valutazione di sintesi della gravità, precisione e concordanza degli elementi emersi dall’esame della documentazione extracontabile della società fornitrice, la cui ponderazione era stata del tutto pretermessa da parte del giudice del merito.

La Cassazione ha dunque rinviato la causa nuovamente in secondo grado, affinché i principi regolanti la prova per presunzione in base agli articoli 2727 2729 Codice civile possano trovare, finalmente, il corretto vaglio; tenendo presente che, per la costante giurisprudenza, anche un solo elemento indiziario è sufficiente a fondare una valida presunzione, se grave e preciso e non smentito da valide e puntuali contestazioni (Cassazione 19766/2021656/20141377/1993; Ctr Abruzzo 146/2/2022): potendo costituire idonea fonte di convincimento per il giudice ai sensi dei principi regolanti l’onere della prova prevista dall’articolo 2697, comma 1, del Codice civile.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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