L’erronea applicazione dell’Iva non dovuta è una fattispecie ricorrente nella pratica considerato che l’applicazione delle aliquote ridotte, l’esenzione o la non imponibilità è prevista ove sussistano determinati requisiti, che talvolta il cedente/prestatore può avere difficoltà ad accertare. Il cessionario/committente d’altro canto può trovarsi contestata la detrazione dell’Iva operata, ove venga poi ravvisata la non debenza dell’imposta.
Con la modifica del comma 6 dell’articolo 6 del Dlgs 471/1997, in caso di erronea applicazione dell’imposta (al di fuori delle ipotesi di frode), è prevista l’applicazione di una sanzione in misura fissa, variabile tra un minimo di 250 euro e un massimo di 10mila euro e il riconoscimento della spettanza del diritto alla detrazione al cessionario/committente. Questa norma ha il pregio di garantire la neutralità dell’imposta in maniera immediata (evitando procedure di recupero complesse e preservando la detrazione), senza penalizzare da un punto di vista sanzionatorio il cessionario/committente.
Cosa dice il principio di interpretazione
Considerato che i giudici nazionali si sono espressi per l’applicazione unicamente nell’errore di aliquota e non quando l’Iva addebitata sia non dovuta (operazioni esenti, non imponibili e fuori campo), con il principio di principio di interpretazione n. 2 Modulo 24 Iva, è stata analizzata la portata applicativa dell’articolo 6, comma 6. In particolare, la Corte di cassazione con diverse sentenze (Cassazione civile, Sezione V, n. 24289/2020, n. 10439/2021, n. 8589/2022; Cassazione civile, ordinanza 32900/2022) ha affermato che la norma opera solo nel caso in cui l’Iva sia applicata con aliquota superiore rispetto all’aliquota corretta e che sarebbe detraibile l’Iva unicamente nella misura effettivamente dovuta.
Tali interpretazioni paiono non solo contrarie alla stessa formulazione della norma, ma anche al principio di neutralità dell’Iva cui la norma si era ispirata e ai principi comunitari: in questo senso tra l’altro la Corte di Giustizia Ue (sentenza causa C-935/19 del 15 aprile 2021) ha sancito l’illegittimità delle sanzioni proporzionali per il cessionario che detrae l’Iva applicata su un’operazione esente (in assenza di frode), implicitamente riconoscendo anche la spettanza del diritto di detrazione dell’Iva in capo al cessionario/committente. L a Ctr Lombardia (sezione 1), nella sentenza 2270/2021 ha accolto le recenti indicazioni unionali, ritenendole direttamente applicabili nel caso esaminato, confermando l’applicazione delle sanzioni pecuniarie fisse e il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva anche per le operazioni esenti erroneamente qualificate come imponibili.
L’agenzia delle Entrate, nella risoluzione 51/E del 3 agosto 2021, ha condiviso la tesi della Corte di cassazione ribadendo che l’articolo 6, comma 6 citato, opera solo nel caso in cui l’Iva sia stata applicata con aliquota superiore rispetto all’aliquota corretta e non anche in caso di operazione originaria esente o non imponibile. La dottrina in senso unanime critica l’interpretazione restrittiva dell’Agenzia e della giurisprudenza: l’Aidc (Norma di comportamento n. 214 del 29 luglio 2021), ribadisce fermamente che il diritto alla detrazione compete anche se l’operazione è stata erroneamente assoggettata ad imposta pur essendo esclusa, non imponibile o esente e non solo quando è stata applicata un’aliquota Iva superiore a quella effettiva.
Conclusioni
La norma in esame mira a preservare il diritto alla detrazione in capo al cessionario/committente con la finalità di garantire, in modo semplificato ed efficiente, il recupero immediato dell’imposta, evitando di intraprendere complesse ed onerose procedure finalizzate al recupero dell’Iva ritenuta erroneamente applicata e mitigare, nel rispetto dei principi unionali di equità e di proporzionalità, l’impatto sanzionatorio in situazioni che non determinano un effettivo danno erariale. Pertanto, non può quindi essere limitata ai soli errori di aliquota. Il dato letterale della norma, peraltro, va in tal senso in quanto prevede l’applicazione della sanzione fissa non ai casi in cui l’Iva è applicata con “aliquota” superiore ma a quello più generico in cui l’Iva è applicata in “misura” superiore.
Si ribadisce, quindi, l’opportunità di una revisione dell’interpretazione a livello di prassi e giurisprudenza nazionale che consenta la corretta applicazione della norma in esame in conformità dei principi comunitari, estendendola quindi anche ai casi di addebito dell’Iva per operazioni non imponibili, esenti e non soggette.
Fonte: Il Sole 24Ore