La costituzione di un diritto di usufrutto su un terreno agricolo acquistato da più di cinque anni genera, in capo al concedente, un reddito «diverso», costituito dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla produzione del reddito. Invece, non produce plusvalenza tassabile la costituzione di una servitù sul terreno agricolo acquistato da più di cinque anni. Così la risposta delle Entrate 381/2023 del 12 luglio.
La tesi dell’Agenzia sulla tassazione dell’usufrutto è motivata su una interpretazione estensiva (già sostenuta nella risoluzione 20/1993) della lettera h) dell’articolo 67 del Tuir, che si applicherebbe (sempre e comunque) a ogni atto portante trasferimento del diritto di usufrutto di immobili, anche qualora la cessione della piena proprietà dei medesimi immobili non generi alcuna fattispecie reddituale (come nel caso di terreni agricoli con possesso ultraquinquennale). Questa conclusione non è condivisibile, per una pluralità di ragioni:
a) le Entrate omettono di considerare che per generarsi plusvalenza da una cessione di beni immobili, occorre la ricorrenza di uno dei seguenti presupposti: o si tratta di una cessione infraquinquennale o si tratta della cessione di un’area edificabile; per simmetria, vista la parificazione tra cessione di beni immobili e costituzione di diritti reali su beni immobili, per aversi tassazione si dovrebbe trattare di una costituzione di un diritto reale su un bene acquistato da meno di cinque anni oppure su un’area edificabile;
b) viene svalutata, in relazione a questa fattispecie (ma non invece a quella della costituzione di servitù), la portata dell’articolo 9, comma 5, che parifica il regime fiscale della costituzione di diritti reali di godimento a quello delle cessioni a titolo oneroso. In base a questa equiparazione, se la cessione della proprietà del bene non genera reddito, altrettanto dovrebbe essere per la costituzione del diritto reale che grava su quel bene. E non vi paiono essere ragioni sistematiche per ritenere che la lettera h) dell’articolo 67, deroghi al principio generale dell’articolo 9;
c) se non si ragiona in base alla predetta simmetria, significa che qualsiasi cessione a titolo oneroso del diritto di usufrutto genera plusvalenza e che, quindi, non esisterebbe una cessione di un usufrutto o di altro diritto reale che non generi plusvalenza;
d) non ha senso distinguere tra costituzione di un usufrutto (tassata) e costituzione di una servitù (non tassata) perché in entrambi i casi si tratta della costituzione di un diritto reale di godimento; se, come riconosce l’Agenzia, la costituzione di servitù su terreno agricolo non è tassata qualora sia già decorso un quinquennio dal suo acquisto (applicandosi in tal caso la simmetria prevista dal citato comma 5 dell’articolo 9), alla stessa conclusione non può non giungersi quando si verte in tema di cessione dell’usufrutto sul medesimo terreno. La Cassazione (sentenza 15333/14) ha distinto la concessione del diritto di superficie su area edificabile (tassabile) dalla concessione su area non edificabile (non tassabile). E non c’è ragione di distinguere tra diritto di superficie, diritto di usufrutto e diritto di servitù i quali sono tutte identiche situazioni di natura reale.
Fonte: Il Sole 24 ORE