Dal 3 luglio ha effetto il Dlgs 19/2023, di attuazione della direttiva UE 2019/2121, recante la disciplina delle operazioni transfrontaliere. In ossequio al principio di libertà di stabilimento nello spazio europeo, viene incentivata la mobilità transnazionale delle società di capitali con una apposita procedura, tutelando i molteplici interessi in gioco, quelli dei soci, dei lavoratori e dei creditori, compresa l’agenzia delle Entrate (circolare Assonime 7 giugno 2023 n. 16).
In particolare, la trasformazione ovvero il trasferimento di sede in continuità giuridica, come pure la fusione internazionale – le cui norme in tema di «certificato preliminare», debiti erariali e relative garanzie vengono in parte qua richiamate (articoli 6-16, che rinviano agli articoli 29, 30 e 31) – rappresenta un istituto appealing per mezzo del quale la società, non è sciolta né liquidata, trasferisce la propria sede in un altro Stato membro, conservando la personalità giuridica, senza interruzione dell’attività, mutando la legge e il tipo sociale previsto nello Stato di destinazione.
Il trasferimento transnazionale, che potrebbe comportare l’applicazione dell’exit tax ex articolo 166 del Tiur – ma con pagamento rateizzato a cinque anni nel caso in cui la società perda la residenza fiscale senza che permanga una s.o. in Italia – si articola in tre fasi, preparatoria, decisoria e di attuazione. Durante quest’ultima, più delicata, il notaio, in veste di «autorità competente», svolge un controllo di legalità e di tax compliance al fine di rilasciare il «certificato preliminare» ovvero il nulla osta all’operazione, fermo restando il termine ordinario di 90 giorni per le opposizioni dei creditori.
In dettaglio, il pubblico ufficiale deve verificare:
1) la legittimità dell’operazione realizzata nello Stato di partenza;
2) l’assenza di finalità abusive, fraudolente o criminali, che si risolvano nella violazione di norme imperative, comprese quelle tributarie e previdenziali;
3) la protezione degli interessi degli stakeholder e la tutela dei creditori anche pubblici (relazione agli articoli 5, 29-31 del decreto e «considerando» 33 e seguenti della direttiva).
Il notaio può avvalersi di esperti indipendenti, richiedere una relazione giurata di un revisore legale per la documentazione tecnica, accedere alle informazioni in possesso delle amministrazioni pubbliche, incluse le banche dati dei carichi pendenti. In particolare, egli è tenuto a verificare l’assenza oppure l’integrale pagamento dei debiti tributari e previdenziali «anche non definitivamente accertati», nonché l’adempimento di altri debiti insorti per la restituzione dei «benefici pubblici localizzati» (cioè degli incentivi erogati per investimenti produttivi o stabilimenti ubicati nel territorio dello Stato di pertinenza della società che si sposta di sede).
L’impresa, in caso di pendenze e qualora si trovi in stato di crisi, deve soddisfare la pretesa erariale residua e/o restituire gli incentivi; altrimenti è tenuta a rilasciare idonee garanzie, quali cauzioni o fideiussioni bancarie o assicurative di ammontare pari almeno al 115% del valore dei debiti, passività residui, compresi gli accessori (sanzioni e interessi).
La procedura risulta abbastanza semplificata e ovviamente armonizzata con la disciplina dello Stato membro di destinazione; tuttavia, l’organo amministrativo deve attivarsi per tempo, in modo da predisporre il set documentale ed acquisire le attestazioni dei creditori pubblici soddisfatti e/o garantiti – erario incluso – funzionali all’emissione del certificato preliminare, che chiude l’operazione transfrontaliera.
Fonte: Il Sole 24 ORE