La certificazione per il credito d’imposta ricerca e sviluppo prova finalmente a tagliare il traguardo. È passato quasi un anno (il termine anche se non perentorio era il 22 luglio 2022) da quando avrebbe dovuto vedere la luce il decreto attuativo della possibilità di rivolgersi a un ente certificatore accreditato per ottenere il “bollino blu” sul progetto di ricerca e sviluppo passato, presente e futuro in grado di blindare la presenza dei requisiti per l’accesso al credito d’imposta. Nonostante una prima bozza del provvedimento, il Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) su proposta dell’attuale ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) di concerto con quello dell’Economia non ha visto ancora la luce.
Un decreto fortemente atteso dalle imprese, perché il meccanismo della certificazione e la creazione di organismi certificatori riconosciuti dal ministero con un apposito elenco permettono di dare maggiori certezze contro le contestazioni dell’amministrazione finanziaria sulla non spettanza o addirittura sull’inesistenza del credito d’imposta. Come prevede, infatti, la norma primaria di riferimento contenuta nel decreto Semplificazioni (Dl 73/2022), la certificazione ha effetti vincolanti nei confronti del Fisco, eccezion fatta per il caso in cui, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, venga rilasciata per una attività diversa da quella concretamente realizzata. Con la conseguenza che gli atti, anche di carattere impositivo o sanzionatorio, diversi da quanto attestato nelle certificazioni sono nulli.
Per dare forma concreta a tutta l’operazione i tecnici del ministero delle Imprese e dell’Economia puntano a chiudere la messa a punto del decreto già nei prossimi incontri. Le limature finali al testo sono state rese necessarie anche dalla modifica arrivata con la manovra 2023, con cui di fatto è stato riscritto un passaggio della preclusione alla richiesta alla certificazione specificando che è necessario soltanto che eventuali violazioni sull’utilizzo dei crediti d’imposta non devono essere già state constatate senza più riferimento alla circostanza non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento di cui si abbia avuto formale conoscenza. Di fatto, in questo modo, è stato ampliato il perimetro dell’accesso alle richieste di certificazioni.
Il ritardo accumulato e gli ulteriori passaggi tecnici successivi (registrazione alla Corte dei conti, pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», decreto direttoriale per definire il modello di richiesta della certificazione) potrebbero imporre anche una riflessione di Governo e Parlamento sulla sanatoria sui vecchi crediti ricerca e sviluppo. L’adesione alla procedura di riversamento spontaneo senza sanzioni e interessi dei crediti per il periodo 2015-2019 ha attualmente una scadenza fissata (dopo la proroga arrivata lo scorso anno) al 30 novembre 2023. I conti vanno fatti soprattutto con gli effetti di cassa perché la restituzione del dovuto può essere effettuata in un’unica soluzione entro il 16 dicembre 2023 o in tre rate in scadenza rispettivamente il 16 dicembre 2023, 2024 e 2025. Quindi un’ulteriore revisione dei termini dovrebbe avvenire alla luce di quanto è stato finora versato e delle attese sui successivi versamenti. Del resto, però, poter ottenere la certificazione sul passato non è una variabile influente perché garantirebbe la correttezza dell’operato evitando anche le incertezze che lascerebbero – in base alla situazione attuale – propendere per la restituzione.