L’affettatura del prosciutto non è una prestazione connessa alla produzione e pertanto non trova applicazione l’aliquota del 10% prevista per il prodotto principale.
L’agenzia delle Entrate, infatti, con la risposta a interpello 363 del 26 giugno 2023 non ha aderito alla soluzione proposta dal contribuente, che riteneva applicabile l’aliquota Iva del 10%, prevista per le cessioni dei prosciutti (n. 3, parte III della tabella A allegata al Dpr 633/1972) anche al servizio di affettatura, considerato come prestazione accessoria ai sensi dell’articolo 16, comma 3 del Decreto Iva.
Le risoluzioni precedenti
L’Agenzia nella propria risposta ripercorre i principali documenti di prassi sul tema dei servizi connessi alla realizzazione di prodotti agricoli e ribadisce la propria posizione, confermando che l’aliquota Iva propria del prodotto realizzato trova applicazione solo per i servizi strettamente connessi alla produzione del bene medesimo. Pertanto, non si applica l’aliquota del vino per i servizi relativi all’imbottigliamento (risoluzione 354780 del 16 aprile 1983), né per i servizi di sezionatura e confezionamento del formaggio (risoluzione 550016 del 7 febbraio 1991), poiché detti servizi attengono alle fasi successive alla produzione, consistenti nell’immissione in commercio dei prodotti.
Il caso del prosciutto disossato
Allo stesso modo anche l’affettamento e il confezionamento del prosciutto non sono considerati servizi di “produzione” poiché non mutano la natura del prodotto. A nulla vale il richiamo operato dal contribuente alla risoluzione 69 del 13 luglio 1998, che aveva riconosciuto la natura di servizio accessorio alle operazioni di disossatura e confezionamento del prodotto. In quel caso, infatti, il prodotto ottenuto (cioè il prosciutto disossato) risultava essere un prodotto a sé stante rispetto al prodotto originario (il prosciutto con l’osso), come confermato anche dalla diversa classificazione all’interno della Tariffa Doganale dei due prodotti e per tale ragione il servizio poteva essere considerato come inerente la “produzione” del prodotto finito.
Le attività connesse
In generale, in base al dettato normativo e alle posizioni espresse dall’agenzia delle Entrate, si può tracciare un confine tra servizi direttamente afferenti la produzione del bene, per i quali trova applicazione il terzo comma dell’articolo 16 e conseguentemente l’aliquota del bene realizzato e servizi attinenti fasi successive o diverse rispetto alla produzione, per i quali non si applica l’articolo 16 e sono soggetti ad Iva secondo le regole ordinarie.
La produzione di prosciutto e le attività ad essa connessa richiedono una particolare attenzione anche ai fini delle imposte diretti. L’attività di produzione di prosciutti, se svolta in connessione all’attività agricola di allevamento di suini, rappresenta certamente un’attività di trasformazione compresa tra le attività agricole connesse ai sensi del comma 3, articolo 2135. Tuttavia, tale attività non rientra nel novero dell’articolo 32 del Dpr 917/1986 e non può beneficiare della tassazione catastale.
L’elenco delle attività considerate connesse ai fini fiscali, infatti, è pubblicato dal ministero delle Finanze con decreto con cadenza biennale e l’attuale versione non prevede più la presenza di prosciutti e speck tra i prodotti agricoli connessi, mentre fino alla versione del 2007 tali prodotti erano ancora compresi. Al contrario il legislatore ha mantenuto tra le attività agricole connesse la produzione di salsicce e salami. Trattandosi di attività connessa di prodotti non inclusi nell’apposito decreto ministeriale, se il produttore è un imprenditore individuale o una società semplice, troverà applicare il regime di cui all’articolo 56-bis del Tuir e il reddito sarà determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi la percentuale del 15%.
Fonte: Il Sole 24 ORE