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Credito ricerca e sviluppo, agevolabili i costi da stock option

Con la circolare del 28 giugno 2023 n. 20, Assonime conferma l’eleggibilità dei costi da stock option ai fini del credito R&S.

Con la circolare del 28 giugno 2023 n. 20, Assonime conferma l’eleggibilità dei costi da stock option ai fini del credito R&S. Sotto un profilo contabile e fiscale, dal 2018, gli Ias-adopter e i soggetti Oic possono entrambi applicare l’Ifrs 2. L’Agenzia ha, tuttavia, negato l’applicazione dei principi contabili internazionali per la determinazione del credito R&S, in considerazione del suo carattere agevolativo, dovendo, per tale ragione, trovare applicazione l’articolo 109 del Tuir. Da ciò, il dubbio circa l’agevolazione di tali costi e, in caso affermativo, con quali modalità.

A tal proposito, l’Associazione dapprima menziona il Manuale di Frascati, a mente del quale rientrano tra i costi da lavoro anche le «opzioni azionarie (stock option)». Sennonché – riconosce Assonime – lo stesso Manuale è richiamato dalla normativa domestica per individuare le attività qualificabili come di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, e non al fine di selezionare i costi ammissibili.

Sicché, si passa alla seconda e più incisiva argomentazione, incentrata sulla possibilità di ritenere effettivi i costi da stock option per l’impresa datrice di lavoro.

Al riguardo, occorre prendere in esame le seguenti ipotesi: da un lato, l’acquisto di azioni nel mercato (proprie e/o di soggetti con cui sussiste un rapporto di controllo, il cui prezzo è poi riaddebitato in capo all’impresa datrice di lavoro), dall’altro, invece, l’emissione di nuove azioni per aumento di capitale sociale.

Ebbene, a leggere Assonime, non v’è dubbio che l’attribuzione di azioni di società controllanti o controllate, per le quali è previsto il riaddebito del costo alla società datrice di lavoro, si configuri come un costo effettivo per quest’ultima.

Più critico – aggiunge l’Associazione – si profila il caso in cui le azioni siano proprie dell’impresa datrice di lavoro e derivino da un aumento di capitale o siano state acquistate sul mercato. In tale scenario, infatti, detti costi sarebbero sopportati, a rigore, dagli azionisti o, comunque, pagati dal mercato.

In questa direzione, parrebbe militare l’agenzia delle Entrate, la quale, con la risposta a interpello del 12 dicembre 2019 n. 516, ha escluso che potesse essere agevolabile, ai fini del credito R&S, la remunerazione di amministratori e soci per mezzo dei cosiddetti work for equity, in quanto non rappresenterebbe un costo effettivamente sostenuto dalla società.

Nondimeno, Assonime mette conto di precisare come, anche in siffatta circostanza, si potrebbe di contro arguire che il costo sia da assumersi effettivo in virtù della teoria del costo opportunità, sintetizzabile come il valore insito nella migliore alternativa rinunciata. Ed effettivamente – prosegue l’Associazione – l’attribuzione di un’azione a un dipendente, subordinata al pagamento di uno strike price, comporta per l’impresa un minore incasso, qualora la medesima azione fosse stata venduta sul mercato.

Postilla di chiusura: in base all’attuale prassi amministrativa, l’applicazione dei principi del credito R&S (congruità, pertinenza ed effettività) alle stock option escluderebbe l’imputazione dei relativi costi al momento dell’attribuzione dell’opzione, in quanto da considerarsi realmente effettivi qualora le opzioni assegnate siano, infine, esercitate da parte dei dipendenti.

In conclusione, si saluta con favore la presa di posizione di Assonime, nell’auspicio funga da pungolo all’amministrazione finanziaria per chiarire, anch’essa, la controversa questione.

 

Fonte: Il Sole 24 ORE

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