Anche se il reale autore della prestazione non è stato individuato è legittima la pronuncia di colpevolezza nei confronti del gestore di una ditta che ha consentito l’evasione di imposta
Il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche quando non sia stato individuato il soggetto che abbia erogato la prestazione. Il mendacio documentale raggiunge infatti appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’Iva verso l’amministrazione finanziaria. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 16576/2023 del 17 aprile, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di reato di emissione di fatture false, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti.
Nel caso di specie, la Corte di appello, per quanto di interesse, aveva confermato la condanna per il reato di cui al n. 74/2000.
L’affermazione di colpevolezza dell’imputato era stata pronunciata perchè lo stesso, quale gestore occulto di una ditta individuale, al fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, aveva emesso, a nome della predetta ditta, fatture per operazioni (soggettivamente) inesistenti.
L’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la sentenza riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, difettando, a suo avviso, il dolo specifico di evasione e lo scopo di favorire l’evasione fiscale di terzi, anche considerato che i soggetti terzi, i quali avrebbero effettivamente eseguito i lavori “coperti” dalle fatture emesse, non erano stati neanche individuati.
Secondo la Suprema corte la censura era infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione “solo” soggettivamente falsa, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cassazione n. 24307/2017).
Rileva la Corte che il principio secondo cui il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione soggettivamente falsa deve peraltro trovare continuità anche quando non siano stati individuati il soggetto o i soggetti che abbiano in concreto erogato la prestazione.
Con specifico riguardo all’Iva, in particolare, il sistema impositivo opera del resto mediante un meccanismo di compensazioni, laddove il versamento dell’imposta all’erario deve avvenire proprio ad opera di colui che effettua la prestazione.
La fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione è dunque funzionale proprio a consentire a quest’ultimo di non emettere la fattura e, quindi, a non risultare come debitore dell’Iva, da versare alle scadenze ex lege previste.
In ogni caso, sottolinea la Cassazione, se il reale autore della prestazione, “coperto” dalla falsa fattura, non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’Iva verso l’amministrazione finanziaria.
Non ha poi alcuna rilevanza neppure accertare se un’evasione di imposta si sia in effetti in concreto verificata.
Come ripetutamente precisato in giurisprudenza, infatti, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture, o altri documenti per operazioni inesistenti.
L’evasione caratterizza semmai il dolo specifico, normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (Cassazione n. 31142/2022).
E nella specie anche tale tipo di consapevolezza era senz’altro presente.
Nel caso di specie, la Corte di appello, per quanto di interesse, aveva confermato la condanna per il reato di cui al n. 74/2000.
L’affermazione di colpevolezza dell’imputato era stata pronunciata perchè lo stesso, quale gestore occulto di una ditta individuale, al fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, aveva emesso, a nome della predetta ditta, fatture per operazioni (soggettivamente) inesistenti.
L’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la sentenza riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, difettando, a suo avviso, il dolo specifico di evasione e lo scopo di favorire l’evasione fiscale di terzi, anche considerato che i soggetti terzi, i quali avrebbero effettivamente eseguito i lavori “coperti” dalle fatture emesse, non erano stati neanche individuati.
Secondo la Suprema corte la censura era infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione “solo” soggettivamente falsa, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cassazione n. 24307/2017).
Rileva la Corte che il principio secondo cui il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione soggettivamente falsa deve peraltro trovare continuità anche quando non siano stati individuati il soggetto o i soggetti che abbiano in concreto erogato la prestazione.
Con specifico riguardo all’Iva, in particolare, il sistema impositivo opera del resto mediante un meccanismo di compensazioni, laddove il versamento dell’imposta all’erario deve avvenire proprio ad opera di colui che effettua la prestazione.
La fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione è dunque funzionale proprio a consentire a quest’ultimo di non emettere la fattura e, quindi, a non risultare come debitore dell’Iva, da versare alle scadenze ex lege previste.
In ogni caso, sottolinea la Cassazione, se il reale autore della prestazione, “coperto” dalla falsa fattura, non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’Iva verso l’amministrazione finanziaria.
Non ha poi alcuna rilevanza neppure accertare se un’evasione di imposta si sia in effetti in concreto verificata.
Come ripetutamente precisato in giurisprudenza, infatti, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture, o altri documenti per operazioni inesistenti.
L’evasione caratterizza semmai il dolo specifico, normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (Cassazione n. 31142/2022).
E nella specie anche tale tipo di consapevolezza era senz’altro presente.
Fonte: Agenzia delle Entrate