Cerca
Close this search box.

Regime speciale Iva per il soccidante senza allevamento in proprio

Risposta 134/2024 delle Entrate: l’acquisto della quota di accrescimento non configura in automatico soccida «monetizzata»

L’acquisto, da parte del soccidante, della quota di accrescimento del soccidario non è di per sé elemento tale da configurare la soccida come «monetizzata». Resta però ferma la necessità che la volontà di costituire una soccida non monetizzata trovi riscontro anche nel contratto, nelle scritture contabili e nel comportamento tenuto dalle parti e non solo nell’emissione di una fattura. La conferma arriva dalla risposta a interpello 134/2024 delle Entrate, che si occupa dei profili fiscali del contratto di soccida.

L’istanza veniva presentata da una società che aveva stipulato un contratto di soccida e che, al termine dello stesso, dopo aver proceduto con la ripartizione dei capi tra le parti, avrebbe acquistato la quota di animali di spettanza del soccidario.

Chiedeva, quindi, il corretto trattamento della fattispecie ai fini fiscali. Ai fini Iva, l’Ufficio ricorda che tanto il soccidario quanto il soccidante possono essere considerati produttori agricoli e, quindi, applicare il regime speciale Iva di cui all’articolo 34 del Dpr 633/1972 (basato sulle percentuali di compensazione). Richiamando le conclusioni delle sentenze di Cassazione n. 987 1146 del 2022, appare definitivamente superata la storica posizione dell’Ufficio che escludeva l’applicabilità del regime speciale per i soccidanti che non svolgono anche attività di allevamento in proprio.

Sebbene non oggetto del quesito, l’Ufficio ritiene di formulare qualche considerazione anche sulla soccida monetizzata. Il chiarimento che ne deriva è interessante anche alla luce di numerosi contenziosi che sul punto esistono: capita spesso che il soccidario venda la sua quota di spettanza direttamente al soccidante essendo, quest’ultimo, il soggetto più vicino. Tale comportamento ha spesso indotto gli uffici a ritenere che celasse una implicita monetizzazione; di conseguenza, gli uffici procedevano con la conseguente riqualificazione del contratto di soccida semplice in soccida monetizzata.

L’ufficio ora chiarisce che la vendita del prodotto al soccidante è una fattispecie ammessa a condizione che concretamente le parti operino una ripartizione di prodotto e una effettiva vendita. Il principio affermato è condivisibile: la vendita della quota di accrescimento da parte del soccidario, ancorché fatturata, non può da sola suffragare l’esistenza di una soccida semplice quando la stima e la divisione dell’accrescimento, pur previste contrattualmente, non sono mai avvenute nella realtà e non trovano riscontro nelle scritture contabili, nei verbali di inizio e fine ciclo, nel registro di carico e scarico (quando obbligatorio).

L’interpretazione è in linea anche con i precedenti chiarimenti di prassi e, in particolare, con la risoluzione 381861/1980 la quale ha precisato che il soccidario è soggetto agli obblighi Iva se provvede alla «vendita in proprio» dei prodotti a lui spettanti, senza precisare chi debba essere (o non essere) il cessionario.

Condivisibile anche la conclusione in materia di imposte dirette. I capi che il soccidante acquista dal soccidario, a meno che non siano oggetto di una specifica attività di manipolazione o trasformazione, sono da considerarsi una commercializzazione pura e, come tale, esclusa dalla applicazione dalla determinazione catastale del reddito di cui all’articolo 32 del Tuir. La fattispecie genera un reddito di impresa che deve essere determinata analiticamente secondo le regole dell’articolo 56 del Tuir.

Fonte: Il Sole 24ORE

Condividi questo articolo

Notizie correlate

Desideri maggiori informazioni su bandi, finanziamenti e incentivi per la tua attività?

Parla con un esperto LHEVO

business accelerator