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Sanzioni, il Fisco allevia il peso su chi paga le imposte in ritardo

Lo schema di decreto. Cala dal 30 al 25% l’importo addebitato in caso di versamenti mancati. Per i reati arriva lo scudo a favore delle imprese in crisi. Circa 3,8 milioni di contribuenti in difficoltà con le rate

C’è un filo rosso che unisce l’acconto delle imposte a rate (novembre 2023), la riammissione alla rottamazione-quater (appena decisa dal Milleproroghe) e l’alleggerimento delle sanzioni sugli omessi versamenti, previsto nel decreto varato giovedì scorso in via preliminare dal Governo. È la volontà di andare verso un Fisco forse meno severo – e certo più paziente – nei confronti di chi dichiara le imposte e poi non le paga in tempo.

Dal taglio alle rottamazioni

Il decreto attuativo della delega fiscale allevia il carico per chi ritarda acconti, saldi o versamenti periodici delle imposte: la sanzione base passa dal 30 al 25% di ogni importo mancato. Restano fermi gli sconti già previsti dal Dlgs 471/97 e il ravvedimento operoso, che quindi abbassano in proporzione gli importo (si veda il grafico).

Ad esempio, su un importo non pagato di 5mila euro la multa “piena” scende da 1.500 a 1.250 euro. Per chi si ravvede da sé, c’è il consueto sconto decrescente: con 10 giorni di ritardo le sanzioni diventano 41,67 euro (anziché 50 con il meccanismo attuale), più 3,42 euro di interessi; con un ritardo di due mesi 69,44 euro (anziché 83,50) più 20,55 euro di interessi.

Il taglio della sanzione base – al di là della sua entità – coinvolgerà molti contribuenti. Gli ultimi dati completi, riportati dalla Corte dei conti, per quanto datati (2018), descrivono un fenomeno di massa: la liquidazione automatizzata delle Entrate ha evidenziato imposte dichiarate e non versate per 12,4 miliardi di euro da parte di 3,8 milioni di soggetti. L’importo medio è 3.275 euro; se però si escludono i 3,2 milioni di persone con somme non pagate sotto i 5mila euro, la media supera i 16mila euro.

Insomma, c’è un’ampia platea di imprese e autonomi che – nero a parte – fatica a star dietro ai versamenti che discendono dalle dichiarazioni. Ed è improbabile che la loro situazione sia migliorata tra Covid, caro-bollette e inflazione. Sono gli stessi soggetti che, dopo aver mancato il primo appuntamento alla cassa, hanno sfruttato le quattro rottamazioni delle cartelle avviate dai vari Governi dal 2016 in poi, spesso decadendo anche dalle rateazioni in corso. A loro adesso il decreto Milleproroghe riapre le porte della rottamazione-quater: non si possono fare nuove istanze, ma chi non ha pagato le prime due rate potrà rimettersi in corsa entro il 15 marzo (20 marzo con la tolleranza).

Con lo stesso obiettivo di aiutare chi è a corto di liquidità è stata anche prevista la facoltà di rinviare a gennaio e dilazionare in cinque rate l’acconto Irpef dello scorso 30 novembre (chance riservata a chi ha ricavi entro i 170mila euro).

Sono provvedimenti diversi, ma con la stessa filosofia di fondo: la ricerca di un equilibrio tra esigenze di gettito e mano tesa ai contribuenti.

Niente reati con la «crisi»

Sul fronte penale, il decreto di riforma mette al riparo dai reati di omesso versamento delle ritenute e dell’Iva chi ha in corso piani di rateazione. Non cambiano le soglie di punibilità (150mila euro di ritenute e 250mila euro di Iva per periodo d’imposta), mentre il termine entro cui dev’essere commesso l’illecito si sposta al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di dichiarazione. Peraltro, le violazioni penalmente rilevanti accertate dalla Guardia di finanza e dalle Entrate muovono numeri relativamente piccoli: 338 per omesso versamento dell’Iva e 189 per le ritenute nel 2022 (si veda Il Sole 24 Ore del 21 febbraio).

Viene inoltre prevista la non punibilità se il contribuente commette questi reati per una «crisi non transitoria di liquidità», non superabile con «azioni idonee», causata dalla «inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi» o dal «mancato pagamento di crediti certi ed esigibili» della Pa. Tocca al giudice penale, comunque, verificare caso per caso tutti questi aspetti.

Nuovi confini per i tax credit

Sempre in tema di versamenti, il decreto riduce le multe per chi paga il Fisco usando crediti d’imposta poi contestati e cambia la demarcazione tra bonus non spettanti e inesistenti. È un tema molto sentito, a partire dal bonus ricerca e sviluppo, e si riflette sulla liquidità di tante imprese.

Scende al 25% la sanzione per chi, nelle compensazioni, usa un credito ritenuto non spettante. E c’è una multa fissa di 250 euro per i casi in cui il tax credit è genuino, ma sono stati violati meri adempimenti amministrativi, purché non siano essenziali a definire il bonus e la violazione sia rimossa entro la successiva dichiarazione dei redditi (o un anno, se non c’è dichiarazione). In parallelo il decreto definisce i crediti inesistenti come quelli per i quali «manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo», eliminando il requisito – ora indispensabile – della non rilevabilità tramite controlli formali. Così c’è il rischio che il numero di contestazioni di inesistenza resti elevato, anche se la sanzione viene ridotta al 70% (anziché dal 100 al 200 per cento) fatto salvo il possibile raddoppio per frodi.

Abbiamo parlato al presente. Ma va tutto declinato al futuro. Non solo perché il decreto deve ancora avere il parere del Parlamento e l’ok finale in Cdm. Ma anche perché – con una norma destinata a essere discussa – il decreto prevede che le novità valgano solo per le violazioni commesse dopo la sua entrata in vigore.

 

Fonte: Il Sole 24ORE

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