Tra le novità che il decreto Irpef-Ires (Dlgs 192/2024) ha apportato nell’ambito del reddito di lavoro autonomo ce n’è una che rischia di passare in secondo piano: quella riguardante le modalità di tassazione della plusvalenza emergente dalla cessione di quote di studi associati e società professionali, sulla quale sono intervenute anche modifiche in extremis nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
L’intervento normativo è legato al nuovo principio di onnicomprensività del reddito di lavoro autonomo, derivante dalla sostituzione – al comma 1 dell’articolo 54 del Tuir – della locuzione «compensi» con quella di «tutte le somme e i valori in genere». Ciò ha determinato l’abrogazione del comma 1-quater dell’articolo 54, relativo ai corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, comunque riferibili all’attività artistica o professionale. Tale fattispecie è ora disciplinata solo dalla lettera g-ter) del comma 1 dell’articolo 17, che ne prevede l’assoggettamento a tassazione separata laddove tali corrispettivi siano percepiti «anche in più rate purché nello stesso periodo d’imposta» (come già chiarito con circolare 11/E/2007, par. 7.1).
Si è però ritenuto di affiancare a questa previsione quella delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in associazioni e società che esercitano un’attività artistica o professionale produttiva di reddito di lavoro autonomo. Plusvalenze che, perciò, seguono lo stesso trattamento della cessione della clientela: costituiscono componenti di redditi di lavoro autonomo salvo fruire del beneficio della tassazione separata in presenza del requisito richiesto.
Si tratta di una modifica che ha già innescato le prime critiche. Infatti, fino ad oggi era escluso che un soggetto privo di partita Iva (o, comunque, che ne è titolare ma per attività diverse da quelle svolte in forma associata o societaria) dichiarasse nell’ambito del reddito professionale la plusvalenza da cessione di quote di uno studio associato o di una società semplice, ossia derivante dal possesso di un bene considerato detenuto a titolo privato e non in quanto professionista o artista.
Peraltro nella previgente disciplina era solo chiaro che i plusvalori derivati dalle cessioni di quote di studi associati non rientrassero nel capital gain (per effetto della duplice esclusione contenuta all’articolo 67, comma 1, del Tuir), mentre sul loro trattamento c’erano tesi diverse: dalla non imponibilità all’assoggettamento quale reddito diverso.
Altro dubbio riguardava le quote di società semplici tra professionisti o artisti, talvolta assimilate (per analogia) a quelle di studi associati, talaltra riconosciute (per interpretazione letterale) produttive di capital gain alla stessa stregua delle società commerciali. Ora, invece, seguendo la relazione accompagnatoria al Dlgs 192/2024, queste plusvalenze rientreranno a tutti gli effetti nel reddito di lavoro autonomo.
Conseguenze ancora maggiori avrebbe avuto l’intervento normativo se non fosse stato modificato all’ultimo miglio prima della pubblicazione. La stesura iniziale, infatti, avrebbe traslato dal capital gain quale reddito diverso al reddito di lavoro autonomo (con possibile beneficio della tassazione separata) anche le plusvalenze da cessione di quote di tutte le società svolgenti attività professionali (comprese, quindi, anche le Stp in forma di società di persone – incluse le Sta di cui al Dlgs 96/2001 – e in forma di società di capitali), dilatando a dismisura l’incongruenza tra la mera qualifica di “socio” (magari di solo capitale) e quella di “professionista” o “artista”.
Il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale è però differente, e ora è possibile distinguere tra quote di strutture che producono un reddito di lavoro autonomo (studi associati e società semplici) e quote di entità che producono reddito d’impresa (Stp costituite come società di persone, di capitali o cooperative). Solo la cessione delle prime può portare a determinare un reddito di lavoro autonomo, eventualmente a tassazione separata, mentre per le seconde tutto resta come prima.
Le minusvalenze, di riflesso, seguiranno il medesimo destino.