Una delle maggiori novità della legge di riforma dell’imposta di successione e donazione, disposta dal Dlgs 139/2024, in vigore dal 1° gennaio 2025 (con riferimento agli atti stipulati e alle successioni ereditarie aperte da tale data) è senz’altro la riscrittura della norma che dichiara non soggetti a imposta di donazione determinati trasferimenti di aziende e di quote di partecipazione al capitale di società (l’articolo 3, comma 4-ter del Tus, il testo unico dell’imposta di successione e donazione, Dlgs 346/1990).
La legge di riforma, infatti, interviene a meglio disporre un testo che era noto per la sua evidente incoerenza e le sue oggettive lacune. Con il nuovo testo viene dunque sancito (o, meglio, chiarito) che l’esclusione da imposta di donazione e successione si applica alle successioni ereditarie, alle donazioni, ai patti di famiglia e ai trust, in caso di trasferimento, a favore del coniuge o dei discendenti:
a) di un’azienda, a condizione che il soggetto avente causa (donatario, assegnatario del patto di famiglia, erede, legatario o beneficiario del trust) prosegua l’esercizio dell’attività d’impresa per non meno di cinque anni dalla data del trasferimento (e cioè della donazione, del patto di famiglia, dell’apertura della successione ereditaria o della attribuzione effettuata dal trustee a favore dei beneficiari);
b) di quote di Srl o di azioni di Spa, qualora si tratti di quote che permettano al soggetto avente causa di acquisire il controllo della società (si intende la titolarità del 50,01% del capitale sociale) o di incrementare la sua già esistente quota di controllo, a condizione che costui detenga il controllo della società in questione per non meno di cinque anni dalla data del trasferimento;
c) di quote di partecipazione al capitale di società di persone (e quindi anche della società semplice), a condizione che il soggetto avente causa detenga la titolarità della quota sempre per non meno di cinque anni.
Nel vigore della norma vigente fino al 31 dicembre 2024, l’Amministrazione finanziaria ha invece sostenuto:
- quanto alle quote di società di persone, che l’esenzione si rendeva applicabile «a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa» (risoluzione 446/E del 18 novembre 2008);
- quanto alle quote e alle azioni di società di capitali, che l’esenzione non era concedibile a quei trasferimenti che non consentissero al beneficiario di mantenere «seppur indirettamente», il controllo dell’azienda familiare, intesa come «realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere tutelata anche ai fini del suo passaggio generazionale» (risoluzione 552/E del 25 agosto 2021).
A quest’ultima tesi ha aderito anche la giurisprudenza di vertice, escludendo che l’esenzione potesse competere per il trasferimento di quote di controllo di una società di capitali che avesse a oggetto un’attività «di mero godimento immobiliare, economicamente non operativa, caratterizzata da una gestione statica» (Cassazione 6082 del 28 febbraio 2023), evidentemente derivando questa conclusione dal fatto che, poco prima, il giudice delle leggi aveva sancito, a sua volta, che la norma di esenzione era finalizzata «ad agevolare – attraverso l’eliminazione dell’onere fiscale correlato al trasferimento per successione o donazione – la continuità generazionale dell’impresa nell’ambito dei discendenti nella famiglia» (Corte costituzionale 120 del 23 giugno 2020).
Ora il dilemma è: la nuova norma è una mera riscrittura formale e, quindi, deve essere interpretata come in precedenza? Oppure si tratta di una riscrittura innovativa, per effetto della quale ora si deve intendere che è divenuta indifferente la presenza di un’azienda nel patrimonio della società di capitali o della società di persone le cui quote siano oggetto di trasferimento mediante donazione, patto di famiglia, successione ereditaria o trust?
Ragionando in quest’ultimo senso, a fronte della legge di riforma, nelle società di capitali il presupposto dell’esenzione rimarrebbe unicamente quello del mantenimento del controllo per almeno cinque anni. Invece, nelle società di persone, si tratterebbe solo di mantenere una qualsiasi quota di partecipazione al capitale sociale, sempre per non meno di un quinquennio.
Questa tesi è stata fatta propria, senza alcun tono dubitativo, dal Consiglio nazionale del notariato nello Studio 100-2024/T, ove è stata definita «cristallina» l’opinione secondo la quale donazioni, patti di famiglia, successioni ereditarie e trust non scontano imposte se hanno per oggetto quote di controllo di società di capitali aventi per oggetto l’attività di holding (sia “mista” che “pura”) e di mero godimento mobiliare o immobiliare e se hanno per oggetto quote di qualunque entità in qualsiasi società di persone.
Si tratta di capire ora come reagiranno (probabilmente resistendo) l’Agenzia e, di conseguenza, la giurisprudenza.
LE ALTRE NOVITÀ
1) IL PRELIEVO SULLE RENDITE
Il nuovo criterio di calcolo
La legge di riforma dell’imposta di successione modifica, parallelamente a un’identica modifica apportata alla legge di registro, le regole da seguire al fine di determinare la base imponibile per la tassazione dei seguenti istituti:
- la rendita perpetua;
- l’usufrutto vitalizio;
- l’usufrutto costituito per un tempo determinato;
- la rendita vitalizia.
Base imponibile gonfiata
Quando, in passato, il tasso degli interessi legali scese sotto la soglia del 2,5% (è il tasso che era vigente fino al 31 dicembre 2024 e che si è abbassato al 2% dal 1° gennaio 2025) si produsse un risultato imprevisto (vale a dire una base imponibile monstre) a causa del calcolo matematico da effettuare.
Si pensi all’ipotesi in cui sia condannato il soggetto autore di un fatto illecito, quale una prestazione sanitaria malriuscita: nel 2020 (quando il tasso dell’interesse legale era attestato allo 0,1%), la previsione di una rendita vitalizia di 2mila euro al mese a favore di un 60enne provocava un risultato imponibile di 144 milioni di euro (sic!).
Il correttivo
Con la legge di riforma si interviene su questa possibile stortura, stabilendo che il calcolo di tale base imponibile – qualora il tasso legale scenda sotto il 2,5% – dovrà comunque essere effettuato utilizzando l’aliquota del 2,5 per cento.
2) L’UNICO EREDE UNDER 26
Il caso particolare
La legge di riforma dell’imposta di successione modifica la disciplina da applicare nel caso (per il vero abbastanza raro) della successione in cui si verifichino le seguenti condizioni:
- vi sia un unico erede infra26enne (cioè con 26 anni di età non ancora compiuti al momento dell’apertura della successione);
- l’eredità comprenda denaro depositato presso una banca o strumenti finanziari contabilizzati in un dossier bancario.
Il blocco dei movimenti
Al riguardo, la regola generale è che i rapporti bancari inerenti a un defunto possono essere movimentati dagli eredi solo se costoro abbiano previamente provveduto a presentare la dichiarazione di successione nella quale tali rapporti bancari siano evidenziati.
La nuova regola
Ora, la nuova norma stabilisce che l’unico erede infra26enne possa accedere ai conti bancari del defunto, anche prima di aver presentato la dichiarazione di successione; e ciò al fine di poter disporre delle risorse finanziarie occorrenti al pagamento delle imposte ipotecaria e catastale dovute a seguito dell’apertura della successione.