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Sì alla nuova gestione solo se l’operazione punta al risanamento

Riorganizzazioni societarie e contratti devono servire al progetto di ripresa

Per dar luogo a un piano di concordato in continuità (indiretta) i contratti e le operazioni societarie, con le quali l’impresa debitrice affida ad un terzo la gestione dell’azienda, devono essere stipulati in funzione del progetto di risanamento.

L’articolo 84, comma 2, del Codice della crisi, che ha consapevolmente innovato rispetto alle tesi prevalenti sotto la legge fallimentare, richiede espressamente che, se il piano di continuità indiretta passa attraverso un contratto di affitto, questo deve essere stipulato «in funzione della presentazione del ricorso». Il Codice lo richiede espressamente per l’affitto, ma la maggioranza degli interpreti la ritiene una regola di applicazione generale, valida anche per altri contratti e operazioni (ad esempio comodato, conferimento, scissioni, fusioni), posti in essere in vista di un piano in continuità indiretta.

Non basta, insomma, un qualsiasi subentro soggettivo nella gestione, ma tale passaggio deve avere una stretta inerenza funzionale alla regolazione della crisi. Il principio esce rafforzato dall’approvazione del correttivo: durante i lavori parlamentari le commissioni giustizia di Camera e Senato avevano chiesto di sopprimere tale requisito, ma il Governo ha ritenuto di non accogliere la richiesta, illustrandone le ragioni nella relazione definitiva. In particolare, oltre a non essere coerente con i principi della direttiva Insolvency (che salvaguarda la continuità se ed in quanto connessa alla ristrutturazione), la modifica richiesta dal parlamento renderebbe labili e indefiniti i confini di applicazione della continuità indiretta.

Di recente la Corte d’appello di Perugia, con la sentenza del 7 agosto 2024, ha confermato (si veda il Sole del 1° ottobre) che solo l’ affitto stipulato «in funzione del ricorso» costituisce continuità indiretta. Il piano deve, poi, illustrare le ragioni per cui l’affitto preserva al meglio i valori aziendali, in vista del trasferimento a terzi o della retrocessione al debitore. Il Tribunale di Spoleto, con decreto 4 luglio 2024, ha ammesso anche l’ipotesi – più problematica – di modifica del contratto di affitto preesistente per renderlo funzionale al risanamento.

La Corte ha affermato anche un altro importante principio: un ingente apporto di finanza esterna da parte della società affittuaria, che – una volta ottenuta l’omologa – si sarebbe resa cessionaria anche dell’intero capitale della società in concordato, è stato considerato un escamotage per acquistare indirettamente la proprietà dell’azienda affittata (attraverso l’acquisto del capitale della società proprietaria). Un’operazione “blindata”, che impediva le offerte concorrenti, perché:

l’affittuario-acquirente, di fatto, aveva già recuperato l’apporto di finanza esterna grazie agli utili della gestione in affitto per oltre un decennio

venivano omesse le informazioni sui flussi di gestione, che il piano in continuità deve invece indicare, e si forfetizzava il cash-flow futuro in modo non controllabile né verificabile.

In un caso analogo, già nel vigore della legge fallimentare, il tribunale di Bologna (sentenza «Martelli» del 7 aprile 2016) aveva ritenuto abusivo un piano che eludeva l’asta competitiva, attraverso un conferimento che dissimulava una vendita.

Fonte: Il Sole 24ORE

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