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Terzo settore, se l’ente si scioglie patrimonio da devolvere ad altro Ets

A più di due anni dall’operatività a pieno regime del Registro unico nazionale del terzo settore (Runts), gli enti sono chiamati a confrontarsi con le implicazioni giuridico-economiche relative alla devoluzione del patrimonio nelle diverse ipotesi contemplate dal Codice del terzo settore (Cts).

È un tema, quello della devoluzione patrimoniale, che non pone, però, solo vincoli normativi a cui gli enti del terzo settore (Ets) sono tenuti ad adeguarsi, ma che è anche espressione di un principio basilare del sistema: il mantenimento all’interno del circuito dell’economia sociale della ricchezza ivi generata.

Mettendo a sistema la normativa e la prassi già elaborata in materia con riferimento alle Onlus, il Codice del terzo settore fa scattare gli effetti devolutivi essenzialmente in due casi: da un lato nell’ipotesi dello scioglimento, che implica l’estinzione giuridica dell’Ets, e, dall’altro, nel caso della cancellazione dal Runts dell’ente che intende rimanere operativo fuori dalla cornice del Terzo settore.

Nel primo caso (articolo 9) il Cts, rinviando alle ipotesi di scioglimento previste dal Codice civile (raggiungimento dello scopo o impossibilità di perseguirlo), richiede la devoluzione del patrimonio residuo (ovvero quello risultante dalla fase di liquidazione) ad altro Ets, previo parere positivo dell’Ufficio del Runts.

Nel caso della cancellazione (articolo 50), invece, la devoluzione del patrimonio riguarderà solo quello incrementale. Un’ipotesi, questa, che potrà verificarsi non solo nel caso in cui l’ente presenti istanza motivata, ma anche nelle diverse ipotesi previste dall’articolo 25 del Dm 106/2020 (accertamento d’ufficio della carenza o mancanza dei requisiti per rimanere iscritti al Registro, mancata ottemperanza degli obblighi di deposito degli atti, aggiornamenti, presenza di provvedimenti di liquidazione o dell’autorità competenti).

La ratio delle due regole in merito alla consistenza del patrimonio da devolvere sta proprio nell’operatività successiva alla devoluzione, che contraddistingue la seconda ipotesi e che implica di circoscrivere gli effetti devolutivi al patrimonio generato in costanza dell’iscrizione al Runts.

Il tema della devoluzione del patrimonio riguarda anche le Onlus che, laddove scelgano di non fare il proprio ingresso nel Runts entro il 31 marzo del periodo di imposta successivo all’autorizzazione Ue, saranno tenute a devolvere il patrimonio incrementale. Quest’ultimo sarà calcolato tenendo conto della quota parte accumulata in vigenza della qualifica di Onlus secondo uno schema analogo a quanto previsto dall’articolo 50 del Codice del terzo settore in caso di cancellazione.

In tutte queste casistiche il fenomeno devolutivo è la naturale conseguenza dell’applicazione del principio dell’assenza di scopo di lucro che ispira l’intera disciplina del Terzo settore.

Con tale strumento il legislatore sottrae le risorse economiche dell’ente alla discrezionalità gestoria di soci e amministratori, preservando così il vincolo di destinazione del patrimonio anche quando il singolo Ets viene meno. Il patrimonio, dunque, deve essere impiegato per continuare a finanziare le attività di interesse generale a fronte della sua assegnazione a un ente beneficiario con qualifica di Ets.

Sotto questo ultimo punto di vista, gli Ets dovranno quindi fare i conti anche con la scelta dei destinatari a cui devolvere il proprio patrimonio. Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha infatti escluso le Onlus dal novero dei soggetti che possono beneficiare della devoluzione (nota 6710/20254).

Questi ultimi enti, la cui qualifica rileva soltanto a fini fiscali, non sono infatti sottoposti al medesimo obbligo di devoluzione del patrimonio degli Ets, caratterizzato da un regime civilistico di grande rigore che sanziona con la nullità gli atti di devoluzione compiuti in violazione di quanto disposto dall’ufficio del Runts. Ciò a presidio del sistema virtuoso di sostenibilità – sottostante alla normativa sulla devoluzione – che si autoalimenta delle proprie risorse e favorisce la produzione di valore sociale condiviso.

Fonte: Il Sole 24ORE

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