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Il «rischio Esg» nei bilanci e nella governance

Nell’imminenza della scadenza del termine previsto per il suo recepimento a livello di legislazione interna, fissato al 6 luglio 2024, la Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd) introdurrà un significativo cambiamento nello scenario europeo del reporting aziendale, mediante la modificazione e il superamento della precedente direttiva 2014/95/Ue in materia di comunicazione delle Non-Financial and Diversity Information (Nfrd). La graduale applicazione della Csrd comporterà, infatti, un ampliamento dell’ambito di operatività degli obblighi di rendicontazione delle informazioni di sostenibilità estendendo così, sotto il profilo quantitativo, la platea degli operatori economici chiamati ad assumere un ruolo proattivo nel perseguimento degli obiettivi dell’Unione mediante la definizione e l’adozione di politiche e pratiche aziendali a lungo termine, volte a integrare la sostenibilità nei sistemi di governo societario e dando evidenza al paradigma postulato dai criteri Esg (Environmental, Social and Governance).

Sotto il profilo qualitativo, la novità legislativa segnerà definitivamente il passaggio dalla rendicontazione non finanziaria alla rendicontazione societaria di sostenibilità, modificando significativamente il contenuto e la portata della disclosure delle informazioni di sostenibilità, destinate a costituire, da un lato, parte integrante della Relazione sulla Gestione e, dall’altro, l’oggetto di uno specifico obbligo di certificazione.

In un’ottica di promozione della trasparenza e di rafforzamento della disclosure, le imprese attive nel mercato interno saranno dunque tenute ad adempiere ai relativi obblighi di rendicontazione, dando evidenza alle conseguenze dirette e indirette dell’attività aziendale sul contesto sociale ed ambientale (materialità d’impatto) e dall’altro, al potenziale impatto dei fenomeni e dei rischi Esg sulle decisioni strategiche di governance e sulle stesse prestazioni finanziare dell’impresa (materialità finanziaria); il tutto, secondo un comune standard di rendicontazione che postula, ai fini di una maggiore comparabilità fra le imprese, l’applicazione degli European Sustainability Reporting Standards (Esrs) adottati dalla Commissione europea il 31 luglio 2023.

Di particolare rilievo, sotto tale profilo, quanto previsto dagli articoli 19-bis e 29-bis, paragrafo 2, lettera f della direttiva Csrd, laddove il legislatore europeo non ha mancato di specificare come le imprese siano chiamate a rendere conto dei «principali impatti negativi, effettivi e potenziali, legati alle attività delle imprese e della relativa catena di fornitura», richiedendosi una rappresentazione delle «azioni intraprese dall’impresa per prevenire o attenuare impatti negativi, effettivi o potenziali, o per porvi rimedio o fine, e dei risultati di tali azioni» sui diritti umani e, segnatamente, sull’ambiente.

Così delineata, l’evoluzione della rendicontazione societaria imporrà alle aziende di rivedere in maniera stringente i propri assetti organizzativi e di governance in chiave di gestione proattiva e responsabile dei rischi Esg, gravando sulle persone fisiche che si pongono in posizione apicale nell’ambito della struttura societaria uno specifico dovere organizzativo, di pianificazione e di implementazione di procedure preposte alla prevenzione degli impatti negativi sull’ecosistema.

Può ritenersi, dunque, che le innovazioni introdotte dalla Csrd siano destinate a produrre riflessi non trascurabili sul piano della responsabilità sociale dell’impresa e della responsabilità dei soggetti della stessa, in ragione degli specifici e stringenti doveri di disclousure e di diligenza gravanti sugli organi di amministrazione e degli altri soggetti coinvolti a garantire la compliance normativa. Quanto sopra integra e amplia, infatti, quanto già previsto dall’attuale sistema della responsabilità civile da danno ambientale (fondato sul principio di matrice comunitaria del «chi inquina paga») che prevede una rigorosa responsabilità dei titolari di cariche societarie i quali, in base all’articolo 2476 del Codice civile, sono solidalmente responsabili dei danni ambientali derivanti dall’inosservanza dei doveri a essi imposti dalla legge, laddove non provino, in base all’articolo 2050 del Codice civile, di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno provocato dall’attività d’impresa.

Se dunque, in caso di danno ambientale, il giudizio di responsabilità si fonda anche sull’adeguatezza delle misure di prevenzione adottate, ciò significa che la prova liberatoria parrebbe aggravarsi, potendosi estendere ulteriormente alla circostanza di aver adempiuto ai sempre più puntuali obblighi comunitari sopra delineati.

Fonte: Il Sole 24ORE

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