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L’incorporata può subire la liquidazione giudiziale

La giurisprudenza di legittimità è tornata a pronunciarsi sul controverso tema della assoggettabilità a liquidazione giudiziale di una società incorporata in un’altra per effetto di un’operazione di fusione, in linea con la visione antropomorfa delle vicende societarie (come osservava criticamente Galgano), fatta propria dalle Sezioni unite (Cassazione, 21970/2021). Seguendo questa ricostruzione, la liquidazione giudiziale si apre per la non più esistente società incorporata (una sorta di patrimonio separato insolvente), lasciando in bonis – grazie a un’operazione di ardita chirurgia giuridica – l’incorporante.

Sulla natura giuridica della fusione vi è stato a lungo contrasto tra chi la riteneva una modificazione sui generis dell’atto costitutivo, idonea a estinguere la società incorporata, e coloro che, al contrario, consideravano che fosse mera modificazione del soggetto giuridico. La questione dell’estinzione dell’incorporata incide in tema concorsuale, posto che secondo l’articolo 33 del Codice della crisi – che riproduce sostanzialmente l’articolo 10 della legge fallimentare – la liquidazione giudiziale può essere aperta, entro un anno dal momento della cessazione dell’attività del debitore, ove l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

Si tratta allora di comprendere come tale inciso possa essere rapportato al fenomeno della fusione, tenuto conto del fatto che la stessa conduce alla cancellazione della società incorporata. In altri termini, ci si è domandati se l’effetto estintivo a carico della società incorporata, e la sua conseguente cancellazione dal Registro delle imprese, corrispondano all’ipotesi ordinaria prevista dall’articolo 2495 del Codice civile, oppure integrino un fenomeno peculiare, equiparabile a una cancellazione puramente “tecnica” e come tale non idonea a innescare l’applicazione della disposizione in commento.

Il tema è stato oggetto di un recente arresto del giudice di legittimità (Cassazione, 14414/2024), che ha confermato la assoggettabilità a fallimento della società incorporata a seguito di fusione, rigettando il ricorso della ricorrente secondo cui la verifica in merito alla sussistenza dei presupposti per l’assoggettabilità a procedura concorsuale non dovesse tener conto della situazione finanziaria e patrimoniale della non più esistente società incorporata, ma dovesse riguardare quella dell’incorporante.

Secondo la prospettazione della debitrice ricorrente, la peculiarità della fusione risiederebbe nella prosecuzione dell’attività d’impresa, seppur mediante impiego di una diversa struttura organizzativa, sicché – contrariamente a quanto avviene per effetto dello scioglimento e della liquidazione, questa operazione straordinaria consentirebbe una prosecuzione – seppur con altro soggetto giuridico – della originaria organizzazione d’impresa.

Il Supremo collegio ha, invece, condiviso l’opposta ricostruzione offerta dalla procura generale e dal controricorrente, valorizzando un’interpretazione dell’articolo 10 della legge fallimentare quale norma (non speciale) che, attraverso una fictio iuris, sancisce la fallibilità – entro il termine di un anno dalla cancellazione dal Registro delle imprese – anche delle società estinte a seguito di incorporazione, fusione o scissione totalitaria.

Nella ricostruzione della Suprema corte – confermativa della già citata pronuncia delle Sezioni Unite 21970/2021 – è irrilevante che i debiti siano stati assunti, per effetto della fusione, dalla società incorporante, dovendosi accertare l’insolvenza in relazione all’incorporata nell’anno dalla sua estinzione per fusione, laddove l’insolvenza dell’incorporante potrà piuttosto costituire presupposto per eventuale assoggettamento a procedura concorsuale anche di quest’ultima.

Appare, tuttavia, singolare riconoscere soggettività giuridica e autonomia patrimoniale a quello che è una sorta di patrimonio separato insolvente, con la difficoltà – in questo caso – di individuare quali siano gli attivi e i debiti che possano essere – rispettivamente – liquidati e accertati dal curatore a fronte di loro evoluzione nella nuova organizzazione imprenditoriale, senza (peraltro) che vi sia alcuna separazione patrimoniale tra il patrimonio dell’incorporata e quello dell’incorporante. Ciò anche alla luce del fatto che («Il Sole 24 Ore», 4 aprile 2023) il patrimonio destinato incapiente (insolvente) di società in liquidazione giudiziale non è assoggettato a procedura concorsuale (articolo 263 del Codice della crisi).

Fonte: Il Sole 24ORE

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