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Il patto fiscale per adesso non convince le imprese

Secondo nove professionisti su dieci i clienti sono poco o per nulla interessati. Pesano le imposte e le difficoltà di stimare il reddito 2025

La possibilità di firmare con il Fisco un patto sul reddito (e sulle imposte) non sembra ancora convincere le imprese: nove professionisti su dieci ritengono che i propri clienti siano oggi poco o per niente interessati al concordato biennale preventivo. È il risultato della survey lanciata la scorsa settimana dal Sole 24 Ore tra i lettori che operano nell’area fisco-lavoro. Più nel dettaglio, l’attrattività è bassa per il 59% dei partecipanti, ed è addirittura nulla per il 33,6 per cento.

Sono opinioni che risentono senz’altro delle tante modifiche normative annunciate nelle scorse settimane e del fatto che non tutti i tasselli attuativi sono ancora a posto. Dopotutto il software per il calcolo del reddito proposto dal Fisco ai 2,7 milioni di soggetti Isa è stato pubblicato solo il 14 giugno (con le software house che hanno avuto poi bisogno di qualche giorno per integrarlo nei propri applicativi). Mentre il 20 giugno è stato approvato dal Consiglio dei ministri – in prima lettura – il decreto delegato correttivo che tra l’altro sposta dal 15 al 31 ottobre il termine per aderire al patto fiscale.

Poche prove con il software

A leggere i risultati della survey ci si rende conto che la partita del concordato preventivo è appena all’inizio. L’80,7% dei partecipanti, ad esempio, non ha ancora provato a effettuare alcuna simulazione con il software di calcolo. Non è difficile immaginare che in questi giorni l’attenzione di commercialisti, tributaristi e consulenti del lavoro sia stata assorbita dalla altre attività di studio, a partire dai versamenti e dagli altri adempimenti in scadenza il 1° luglio. Ma tra i pochi professionisti che hanno già provato a “far girare” il software, due su tre si sono trovati di fronte a una proposta reddituale superiore alle aspettative, anche in base al punteggio Isa di partenza.

Le idee non sono ancora chiare. E si colgono segnali di cautela, prudenza e perplessità. Lo testimonia il fatto che il 53,6% si riserva di valutare caso per caso se suggerire ai propri clienti di aderire al concordato; e che il 9,7% ammette di non avere un’opinione. Il resto si divide tra coloro che non consiglieranno affatto l’adesione (19,7%) e coloro che la consiglieranno (17%): ma questi ultimi, per lo più, affermano di voler incoraggiare solo una minoranza dei clienti potenzialmente interessati. Insomma: se i professionisti possono fare da ambasciatori del patto con il Fisco, l’impressione è che per adesso pochi siano già decisi a diventarlo.

L’incertezza sugli affari 2025

Indicativa la disamina dei fattori che potrebbero scoraggiare l’adesione delle partite Iva (qui ogni partecipante ne ha potuti indicare fino a tre, sui sei elencati). La difficoltà per l’impresa di stimare il reddito 2025 è la motivazione principale (70,8%), ma in questo caso non sembrano esserci grandi rimedi: la natura stessa del patto biennale implica una sorta di scommessa nella previsione degli affari nel 2025; se mai, per quest’anno non saranno penalizzati i forfettari, per i quali il concordato ha durata solo annuale nel 2024.

Tra le altre cause di disincentivo indicate dai professionisti c’è poi la necessità di pagare maggiori imposte, a prescindere dal momento di versamento (39,2%) o in occasione dell’acconto di novembre (15,5%). A dire il vero il recente decreto correttivo punta a rendere meno pesante la scadenza del 30 novembre, prevedendo un’imposta sostitutiva: un tributo da calcolare sulla differenza tra il reddito concordato per il 2024 e il reddito per il 2023 emerso dalla dichiarazione, con aliquota al 15% per i soggetti Isa e al 12% per i forfettari (4% se nuove attività).

A ogni modo, non sarà possibile smentire la “filosofia” di fondo del concordato: per quanto calibrato e graduale, l’aumento del reddito e delle imposte dovrà pur esserci. Ciò fa capire bene perché il terzo fattore di difficoltà segnalato nel sondaggio sia la copertura non totale dagli accertamenti fiscali (38,5%). Come dire: dopo aver aderito (e pagato), molti si aspettano una protezione più ampia dai controlli.

Il rebus dei forfettari

Chi saranno i contribuenti più interessati al concordato? Il 53,7% dei professionisti interpellati indica i soggetti Isa. Mentre solo il 19,2% indica i forfettari, e il 27% risponde: entrambi in egual misura. Un’opinione che pare in contrasto con alcune sensazioni dei commentatori, secondo cui le eventuali adesioni potranno ben fiorire tra gli 1,8 milioni di forfettari. E in particolare tra quelli “in crescita”, che possono far leva sull’applicazione in via sperimentale per un solo anno, il 2024, i cui risultati a fine ottobre saranno largamente preventivabili. Senza contare un altro vantaggio del regime a forfait: i contribuenti non hanno l’Iva, e sappiamo che l’adesione al patto fiscale «non produce effetti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto», come recita l’articolo 18 del Dlgs 13/2024. Ma è anche una questione di misura dei redditi e compensi. E da questo punto di vista la partita – come detto – è ancora tutta da giocare.

Fonte: Il Sole 24ORE

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