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La Pa non può erogare importi ulteriori rispetto al contratto o alla legge

I dipendenti devono restituire gli importi ricevuti

Nel pubblico impiego privatizzato, le uniche fonti regolatrici del rapporto di lavoro sono la legge e la contrattazione collettiva, con la conseguenza che è impossibile per la Pa datrice di lavoro attribuire dei trattamenti economici diversi rispetto a quelli ivi contemplati. Ciò vale, come ricorda la Corte di cassazione (sezione lavoro, 16150/2024 dell’11 giugno), anche laddove tali trattamenti siano di miglior favore per il dipendente.

La norma che detta il principio appena richiamato è l’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 165/2001, che priva indirettamente di qualsivoglia rilevanza ai fini dell’attribuzione di trattamenti economici il mero atto deliberativo della pubblica amministrazione che, se non è conforme alla contrattazione collettiva, deve quindi reputarsi nullo.

Tale conformità, secondo i giudici di legittimità, va oltretutto valutata in maniera rigorosa, ovverosia tenendo conto del contratto collettivo di comparto effettivamente applicabile. A nulla vale in senso contrario la circostanza che, ad esempio nel caso specifico, venga applicato di fatto ad altri dipendenti un contratto collettivo diverso rispetto a quello del comparto di appartenenza, neanche se tale applicazione consegua a una sentenza passata in giudicato. Rispetto alla scelta del contratto collettivo, infatti, l’amministrazione datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione.

Del resto, come osservato dalla Corte di cassazione, se la pubblica amministrazione potesse decidere di applicare il trattamento economico previsto da un contratto collettivo diverso da quello di comparto, si rischierebbe di determinare delle illegittime condizioni di disparità rispetto ai lavoratori ai quali si applica il trattamento di cui al contratto individuato correttamente.

La conseguenza di tutto quanto appena detto non è di poco conto: anche nel rispetto di quanto sancito dall’articolo 97 della Costituzione, infatti, la pubblica amministrazione è tenuta a ripetere dal lavoratore qualsiasi somma riconosciuta in eccesso rispetto al trattamento economico stabilito dalla contrattazione collettiva applicabile, così ripristinando la legalità violata.

L’adozione di un provvedimento che individua illegittimamente il regime degli emolumenti, quindi, non determina l’insorgere in capo al lavoratore di una posizione giuridica soggettiva tutelabile. Per il dipendente, infatti, il diritto a un determinato trattamento economico si stabilizza esclusivamente quando l’atto adottato dall’amministrazione datrice di lavoro è conforme alla volontà delle parti collettive. Non si applica invece in tali ipotesi la disciplina delle prestazioni di fatto in violazione di legge dettata dall’articolo 2126 del codice civile, che si riferisce alla prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non alla regolamentazione irregolare del rapporto fatta mediante un atto dispositivo della Pa da considerarsi viziato.

Fonte: Il Sole 24ORE

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