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Rischiosità e insolvenza, per il Tribunale di Bologna va valutata la possibilità di raggiungere un accordo

Anche piani di risanamento difficili, presentati da un debitore pressoché in stato di insolvenza, meritano di essere perseguiti al riparo dalle azioni esecutive dei singoli creditori, a patto che il percorso sia delineato e si possa desumere la funzionalità delle misure protettive e cautelari al buon esito delle trattative. È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza del Tribunale di Bologna dello scorso 4 marzo.

La vicenda su cui il tribunale ha provveduto con la citata ordinanza non è inusuale. Un debitore in difficoltà finanziaria accede alla composizione negoziata formulando richiesta di nomina dell’esperto, che dopo pochi incontri si rende conto della gravità della situazione.

L’impresa non è più in grado strutturalmente di adempiere alle proprie obbligazioni, ha superato ignorandolo il momento in cui avrebbe dovuto attivarsi per risolvere sul nascere i propri problemi e cerca l’accordo con i creditori quando ormai è insolvente.

Ha però un piano, che pur con ritardo delinea un percorso per risolvere le difficoltà, e che prefigura una soddisfazione dei creditori superiore a quella che l’alternativa della liquidazione giudiziale consentirebbe. Il piano quindi c’è, e l’approfondimento dell’esperto conduce alla riformulazione del test pratico che piuttosto categoricamente esclude soluzioni diverse dalla cessione dell’azienda in funzionamento, cercando un acquirente il più rapidamente possibile. L’esperto nel suo parere conclude che nonostante l’insolvenza una possibilità di trovare un accordo con i creditori esiste, perché il percorso è serio anche se decisamente in salita.

I punti su cui il tribunale deve prendere posizione sono quindi due: se l’insolvenza non sia un limite invalicabile, e se un piano così rischioso consenta comunque di confermare le misure protettive.

L’insolvenza, secondo il Tribunale di Bologna, non impedisce la conferma delle misure protettive. Richiamando un suo precedente provvedimento dell’8 novembre 2022, il Tribunale conferma che l’aspetto determinante non è tanto il punto di partenza, che può anche essere una condizione di difficoltà tale da costituire insolvenza, quanto il punto di arrivo, e quindi la ragionevole possibilità che si raggiunga un accordo con i creditori sulla base di un piano che oltre a condurre al risanamento rappresenti anche per loro un vantaggio rispetto alle alternative liquidatorie.

Nemmeno la intrinseca rischiosità del piano impedisce l’inibizione delle azioni esecutive individuali, purché non sia manifestamente implausibile.

L’esigenza di trovare un bilanciamento tra diritto legittimo dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore e interesse collettivo per il risanamento dell’impresa, nella fattispecie molto rischioso, ha indotto il tribunale a limitare la durata delle misure protettive alla metà del periodo massimo concedibile.

L’approccio non convince del tutto, perché per realizzare un progetto di risanamento rischioso e con diversi punti irrisolti, quale l’individuazione di un acquirente, serve forse più tempo, e non meno, rispetto ad un percorso già meticolosamente programmato. Sarebbe forse più proficuo un frequente monitoraggio dei progressi, che determini la revoca delle misure protettive ove il piano da rischioso divenga impossibile.

Fonte: Il Sole 24ORE

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