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Recesso del socio, sempre possibili controlli su correttezza e buona fede

Le clausole statutarie che consentono al socio di recedere in qualsiasi momento, senza alcuna giusta causa e con il solo preavviso sono lecite, ma non precludono la possibilità di un successivo controllo giurisdizionale sulle modalità con le quali questa facoltà viene esercitata. Lo chiarisce la Cassazione nella sentenza 2629 del 29 gennaio 2024 con cui ha dichiarato la legittimità delle clausole degli statuti delle società per azioni (anche costituite a tempo determinato) che prevedano per il socio la facoltà di recedere ad nutum (senza giusta causa), con la sola condizione di darne preavviso almeno 180 giorni prima, quando la società non fa ricorso al mercato del capitale di rischio (si veda Il Sole 24 Ore del 30 gennaio).

La Corte mette quindi in guardia le parti rispetto all’ineludibile controllo giurisdizionale successivo secondo i canoni della correttezza e della buona fede. Pur richiamando numerosi precedenti, la sentenza 2629 deve considerarsi innovativa anche su questo profilo, poiché riguarda società di capitali.

Il recesso senza giusta causa

Secondo la Cassazione, la portata dell’articolo 2437, comma 4, del Codice civile — che lascia all’autonomia privata la possibilità di prevedere negli statuti societari altre ipotesi di recesso rispetto a quelle contemplate come derogabili o come inderogabili nei commi precedenti — va definita alla luce della nuova prospettiva introdotta dalla riforma del 2003 che punta a favorire a competitività delle imprese tramite l’accesso delle società al mercato dei capitali (si veda l’articolo a fianco).

Un’impostazione che induce la Cassazione a ritenere che il legislatore abbia inteso rimettere alla libertà statutaria la scelta di contemplare altre ipotesi di recesso compresa quella di recesso ad nutum, fatto salvo il preavviso di 180 giorni.

Il controllo dei giudici

Questo cambio di prospettiva ha ripercussioni anche sul controllo giurisdizionale, che si sposta ad un momento successivo. Se è lecita e valida la clausola frutto di un accordo negoziale consentito, anche il recesso del socio è un atto negoziale da valutare alla luce delle norme generali di sistema.

Con la sentenza n. 2629 la Cassazione ricorda in particolare che, quale atto negoziale, esso resta sottoposto alle clausole generali che regolano i rapporti tra privati, in particolare gli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, che richiedono rispettivamente il comportamento secondo correttezza e l’esecuzione della volontà negoziale secondo buona fede.

Pertanto, in seguito a una eccezione della parte interessata il recesso ad nutum potrà sempre essere sottoposto a un controllo di tipo giurisdizionale.

La Cassazione nel recente passato ha effettuato un controllo di buona fede su atti di recesso per giusta causa nell’ambito di società di persone o avuto riguardo a società a responsabilità limitata con statuti adottati sotto la vigenza del testo dell’articolo 2437 del Codice civile, precedente alla riforma del 2003.

Ma ora ammette che ad esso può darsi luogo anche nelle società di capitali.

Certamente la valutazione del comportamento del socio secondo buona fede implicherà l’ apprezzamento dei complessivi rapporti societari, visto che in virtù di questa clausola generale già i giudici di legittimità hanno ritenuto insufficiente a legittimare l’esercizio di un potere negoziale unilaterale il mero verificarsi della situazione oggettiva prevista nel contratto (in questo senso di recente si è pronunciata Cassazione 8282/2023, sebbene relativamente a contratti di appalto).

Richiamando la clausola generale della correttezza è stato, ad esempio, escluso che in una società in nome collettivo composta da due soli soci, a fronte dell’inadempimento di un socio ai propri obblighi gestori — seguito da un periodo di tolleranza — l’altro socio possa recedere invocando una giusta causa, solo dopo aver messo in mora il primo e aver richiesto il detto adempimento; è sufficiente in tal caso verificare il comportamento scorretto (Cassazione, 21731/2022).

In altre occasioni la buona fede e la correttezza sono state considerate fonti di integrazione della regolamentazione eventualmente carente dello statuto e si è affermato che ad esse deve fare riferimento il giudice di merito per valutare di volta in volta le modalità concrete di esercizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine entro il quale il recesso è stato esercitato, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti (Cassazione, 28987/2018).

 

Fonte: Il Sole 24ORE

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