Il concordato preventivo biennale riscrive il calendario fiscale del 2024. I tempi necessari a inserire i dati e valutare la proposta del Fisco sposteranno in avanti altre scadenze: dai versamenti alla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il decreto attuativo della delega fiscale in tema di accertamento – che giovedì scorso è stato licenziato dal Consiglio dei ministri – prevede che quest’anno le Entrate mettano online entro il 15 giugno i software in cui i contribuenti dovranno caricare i dati che il Fisco userà per elaborare il “reddito proposto”: in pratica, l’imponibile sulla base del quale chi aderirà al concordato pagherà le imposte “bloccate” nel biennio 2024-25.
Il termine a regime per la pubblicazione dei software è il 1° aprile, ma – secondo il decreto – questa data sarà raggiunta solo nel 2026. Quest’anno vengono concessi alle Entrate due mesi e mezzo in più, generando un effetto a catena. Un effetto, peraltro, necessario anche per consentire ai contribuenti e ai professionisti che li assistono di valutare bene se aderire o no al concordato (lo schema iniziale di decreto dava solo cinque giorni per decidere).
Per i contribuenti sottoposti alle pagelle fiscali (Isa), i forfettari e i minimi – cioè i 4,5 milioni di soggetti potenzialmente interessati al concordato preventivo biennale – arriva innanzitutto il rinvio della scadenza per il pagamento del saldo 2023 delle imposte e del primo acconto 2024: anziché entro il 30 giugno (termine che rimane invariato per gli altri) questi soggetti pagheranno entro il 31 luglio, senza maggiorazioni, sanzioni e interessi. Ciò vuol dire, tra l’altro, che i loro versamenti saranno sottoposti alle nuove e più severe regole per la compensazione dei crediti d’imposta, che la legge di Bilancio fa scattare dal 1° luglio. Perciò, ad esempio, chi ha accertamenti esecutivi affidati per oltre 100mila euro beneficerà sì del termine prorogato, ma non potrà usare eventuali tax credit nel modello F24 con cui pagherà il saldo e il primo acconto.
Acconto vecchia maniera
L’importo da versare entro il 31 luglio – o il 20 agosto con la consueta maggiorazione dello 0,4% – dovrà essere calcolato con le regole “normali”, senza tener conto del concordato. Del maggior reddito eventualmente pattuito col Fisco, insomma, si dovrà tenere conto nel secondo acconto (30 novembre). D’altra parte, a fine luglio nessuno avrà ancora aderito al concordato, visto che il decreto dà tempo fino al 15 ottobre per decidere. Data a cui viene allineato il termine di presentazione del modello Redditi e della dichiarazione Irap (termine valido per tutti, si noti, non solo gli interessati al concordato, anche se il modello 730 rimane a fine settembre).
Con una mezza retromarcia, dunque, viene subito disinnescato per quest’anno l’anticipo del modello Redditi dal 30 novembre al 30 settembre, appena previsto da un altro decreto attuativo della delega, quello sugli adempimenti (il Dlgs 1/2024, entrato in vigore il 13 gennaio). Il termine del 30 settembre rimane però a regime dal 2025.
Si capisce quindi che il calendario appena riscritto è ancora provvisorio. Perché l’anno prossimo e nel 2026 è destinato a cambiare. Oltretutto, per i forfettari il concordato preventivo quest’anno sarà soltanto annuale e sperimentale, e andrà deciso quasi a consuntivo, dopo nove mesi e mezzo su 12. Mentre il primo biennio di piena applicazione sarà il 2025-26, nel quale il Fisco si baserà anche sui dati delle fatture elettroniche estese a tutti i forfettari dallo scorso 1° gennaio.
L’intreccio delle partite Iva
Ci sono altri incroci da monitorare. Con il primo acconto calcolato in base alle regole ordinarie, chi aderirà al concordato pagherà tutta la maggior imposta al momento del secondo acconto del 30 novembre. Ma bisognerà vedere se sarà confermato anche per quest’anno il rinvio al 16 gennaio (con eventuale rateazione) del secondo acconto Irpef per i titolari di partita Iva con ricavi o compensi fino a 170mila euro: questi contribuenti potrebbero così spalmare fino al 16 maggio 2025 i rincari d’imposta connessi all’adesione al concordato. La questione non è marginale perché, su 2,4 milioni di contribuenti Isa, le persone fisiche sono poco meno di 1,3 milioni e hanno ricavi o compensi medi di 132mila euro.
Fonte: Il Sole 24ORE