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Decreto Adempimenti in «Gazzetta»: deposito libri contabili chiuso dal professionista

Modificato l’articolo 35 del decreto Iva codificando le raccomandazioni del Consiglio nazionale dei commercialisti.

Se il cliente non comunica all’agenzia delle Entrate la cessazione dell’incarico di depositario delle scritture contabili, il professionista potrà farlo autonomamente, con una procedura interamente telematica.

L’articolo 4 del decreto Adempimenti (Dlgs 1/2024, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 12 gennaio), recepisce così le raccomandazioni del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec) e colma una lacuna che, fino a oggi, lasciava i professionisti esposti al rischio di richieste e accessi degli uffici finanziari anche molti anni dopo la chiusura dei rapporti con il cliente.

Il decreto Iva prevede che la cessazione, per qualunque causa, dell’incarico di tenuta e conservazione di scritture e documenti contabili sia comunicata al fisco entro 30 giorni, indicando il nuovo luogo di deposito. Secondo l’Agenzia solo il contribuente può provvedere (risoluzione 65/2011), qualunque sia il motivo di cessazione.

Se la contabilità passa a un altro commercialista, quest’ultimo ha il dovere di curare la comunicazione (articolo 16 codice deontologico Cndcec). Ma il nuovo incaricato può mancare, o non essere un soggetto tenuto a rispettare norme deontologiche. Talvolta è il cliente che si rende irreperibile.

Di fronte all’ex cliente negligente o disattento, sino a oggi mancavano strumenti chiari per sopperire all’inerzia, con situazioni potenzialmente sgradevoli: in caso di controllo fiscale a carico del contribuente, gli organi verificatori si recano infatti direttamente dal soggetto che risulta depositario dei libri contabili e fiscali. Oltre al disagio della “visita” e della richiesta di documenti, c’è anche la spinosa responsabilità, nei confronti dell’Amministrazione, per la tenuta e conservazione delle scritture.

Il Cndcec nel 2016 aveva analizzato le varie prassi adottate per informare l’ufficio competente e precostituire la prova del cessato incarico, da esibire ai verificatori a discarico di responsabilità.

Sino a oggi, però, tali soluzioni non evitavano il rischio dei controlli: le prassi variavano da ufficio a ufficio, e mancava una procedura interna dell’agenzia per caricare l’informazione negli archivi dell’anagrafe tributaria. Finché il contribuente non provvedesse, continuava a risultare il deposito presso lo studio del precedente professionista.

Viene ora modificato l’articolo 35 del decreto Iva, codificando, nei fatti, le raccomandazioni del Cndcec.

Se l’ex cliente, qualunque sia il motivo di cessazione, non provvede nei 30 giorni di legge, il depositario nei successivi 60 giorni, dopo aver avvisato il contribuente con Pec o raccomandata, può provvedere in proprio comunicando telematicamente la cessazione dell’incarico, che verrà acquisita a sistema e inserita anche nel cassetto fiscale del cliente cessato. Da tale momento si presume che il luogo di conservazione sia il domicilio fiscale del contribuente.

L’obbligo di avvisare il cliente in caso di rinuncia al mandato era già previsto anche dal codice deontologico dei commercialisti (articolo 23): in base a tale norma, decorsi 60 dalla Pec/raccomandata il professionista non è responsabile per la mancata successiva assistenza, pur essendo tenuto a inoltrare la corrispondenza ricevuta.

Attenzione però: se il cliente è irreperibile o comunque non ritira i documenti, anche dopo aver inviato la comunicazione, il professionista ha il dovere di conservarli con diligenza e nel rispetto del Gdpr, riconsegnandoli al cliente a semplice richiesta. In difetto, si rischiano sanzioni amministrative e disciplinari, e ci si espone a responsabilità civile per danni.

Non è possibile trattenere i documenti nemmeno per indurre il cliente moroso a pagare, perché lo vieta il codice deontologico (articolo 23 comma 5), pena la sospensione fino a tre mesi.

Fonte: Il Sole 24ORE

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