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Fallimento, niente sanzioni per omesso versamento da crisi di liquidità

Il contribuente non è sanzionato per omesso versamento se causato da crisi di liquidità dovuta al fallimento di società collegata.

Non incorre in sanzioni il contribuente persona fisica che ha commesso la violazione tributaria di omesso versamento a seguito di una crisi di liquidità riconducibile al fallimento di una società avente il compito di reperire finanziamenti bancari per il gruppo a cui lo stesso contribuente appartiene. E ciò in quanto la situazione di crisi integra l’esimente della forza maggiore poiché il contribuente, incolpevolmente, non ha potuto prevederla ed evitarne poi le conseguenze. È questo il principio espresso dalla Cgt Calabria con la sentenza 2284/1/2023. Il caso riguarda una cartella di pagamento emessa ai fini Irpef per l’anno 2014 e impugnata dal contribuente limitatamente alle sanzioni applicate.

Dopo il giudizio di primo grado, conclusosi in senso favorevole al ricorrente, anche in secondo grado la tesi dell’Agenzia viene respinta. In particolare, i giudici, senza ricostruire nel dettaglio i presupposti fattuali e giuridici della decisione, hanno ritenuto applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 6, comma 5, del Dlgs 472/1997.

La sentenza va ad arricchire quella giurisprudenza che, in assenza di una definizione legislativa, si è occupata dei presupposti applicativi dell’esimente della forza maggiore in relazione a casi di difficoltà economica del contribuente. Giurisprudenza nell’ambito della quale, va precisato, non si annoverano molte sentenze di segno favorevole al contribuente.

In termini generali, un orientamento ormai costante afferma che il contribuente non è sanzionato se dimostra, da un lato, che le circostanze di fatto da cui origina la violazione sono imprevedibili e non sono, quindi, imputabili ad una propria condotta, e dall’altro, di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire la violazione stessa. La giurisprudenza ha finora raggiunto queste conclusioni seguendo strade diverse: mutuando la nozione di forza maggiore dalla giurisprudenza unionale; affermando, sulla base dell’articolo 3, della legge 689/1981, che ai fini dell’applicazione delle sanzioni spetta al contribuente provare l’assenza della colpa, presunta fino a prova contraria; o ancora, richiamando l’accezione penalistica secondo cui la forza maggiore va riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla il dominio del soggetto sui propri comportamenti.

In questi termini, si rileva una bassa propensione dei giudici a ricondurre la crisi di liquidità nell’alveo degli elementi idoneo a giustificare la disapplicazione delle sanzioni; e ciò stante la difficolta, per il contribuente, nel provare l’imprevedibilità della crisi e l’adozione di tutte le cautele e misure necessarie per evitarla.

Sotto questo profilo, la sentenza in commento risulta sì in accoglimento della tesi del contribuente, ma a fronte di motivazioni in alcuni punti lacunose: nella motivazione non vi è traccia, infatti, della prova della insuperabilità della carenza di liquidità; punto in relazione al quale i giudici si sono limitati a rilevare che il contribuente avrebbe comunque «fatto uso della propria ordinaria diligenza per evitare ostacoli nell’esatto adempimento delle obbligazioni». Ancora, la sentenza non analizza il tema dell’imprevedibilità della crisi per il contribuente, nonostante il rapporto di non estraneità tra il contribuente e la società il cui fallimento avrebbe, in sostanza, limitato l’accesso al mercato creditizio e, dunque, causato lo stato di crisi di liquidità per il contribuente stesso.

Fonte: Il Sole 24ORE

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