L’articolo 6 del Ddl delega di riforma fiscale prevede una riduzione dell’aliquota Ires dall’attuale 24% al 15% qualora vengano rispettate, entro i due periodi d’imposta successivi a quello in cui è stato prodotto il reddito, entrambe le seguenti condizioni:
• una somma corrispondente, in tutto o in parte, a tale reddito sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni;
• gli utili non siano distribuiti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa.
La soglia minima di tassazione al 15% è fissata nel rispetto dei dettami previsti a livello internazionale dalle Globe rules in ambito Beps. Pertanto è previsto che determinati investimenti opportunamente detassati consentano di ridurre il tax rate, ma non sotto la soglia del 15% fissata come global minimum tax. Andrà visto come articolare le misure di detassazione per consentire di raggiungere tale livello minimo.
In tale ambito un ruolo fondamentale è giocato dalla qualificazione dei crediti d’imposta come Qrtc (Qualified refundable tax Credit), ovvero crediti d’imposta per cui è previsto il rimborso in denaro o strumenti equivalenti (cash or cash equivalent). Diversamente i Nqrtc tendono ad avere un impatto negativo sul calcolo dell’Etr (effective tax rate), così da far scattare Top-Up Tax nel caso di un’imposizione minima sotto al 15 per cento.
Diventa quindi fondamentale comprendere le attuali agevolazioni (ricerca, sviluppo e innovazione, investimenti 4.0, nuovo patent box, Ace) che impatto abbiano sull’Etr. Non dovrebbero esservi problemi per i primi due crediti d’imposta, che probabilmente andrebbero potenziati viste le aliquote ormai assai ridotte. C’è invece il rischio che il nuovo patent box, così come l’Ace, si configurino come Nqrtc. Peraltro l’Ace è in vigore da più di dieci anni, con un patrimonio di conoscenze e di meccanismi ormai consolidati, motivo per cui l’abbandono è sempre fonte di interrogativi. E lo stesso dicasi per il patent box che ha già subito una rivisitazione che lo ha condotto ad essere un meccanismo di incentivazione di costi rispetto al passato, in cui si premiavano le aziende che mediante gli intangibles risultavano più redditizie.
L’altra condizione per una tassazione del 15%, che riguarda l’assenza nei due anni successivi di distribuzione di dividendi, va soppesata con attenzione. Può essere utile in primis distinguere l’ambito delle realtà quotate da quello delle Pmi tipicamente unlisted. Per ciò che concerne le prime, giova considerare che spesso una distribuzione di dividendi è un elemento sostanzialmente imposto dal mercato. Determinate realtà quotate mature, infatti, presuppongono un azionariato che si aspetta una certa distribuzione di dividendi annui, ragionando in termini di dividend yeld. Può sicuramente argomentarsi che una certa ritenzione di utili è un aspetto che in finanza aziendale rafforza l’impresa, ma di sicuro non si può negare una completa riduzione di aliquota per il solo fatto che una grande impresa quotata distribuisca una parte dei propri utili agli azionisti. Perché si andrebbe contro dinamiche consolidate di mercato e non si può in tali casi limitare la detassazione per un evento tutto sommato fisiologico.
Discorso probabilmente più complesso e articolato riguarda le Pmi, in quanto in tali casi la struttura finanziaria già in partenza potrebbe essere squilibrata e la distribuzione potrebbe accentuare tale condizione. In questi casi potrebbe avere senso disincentivare la distribuzione, ma questo non dovrebbe essere fatto tout court, ma eventualmente andrebbe legato al mancato rispetto di determinati parametri, quali a titolo esemplificativo il rapporto di indebitamento (D/E), che mette a confronto i debiti finanziari con i mezzi propri misurando la “salute” finanziaria dell’impresa. Aspetto che potrebbe valere anche per le quotate.
Appare chiaro, in ogni caso, che nella declinazione della legge delega questi aspetti andranno attentamente soppesati.
Fonte: Il Sole 24 ORE