Quando il trasporto dei beni all’estero non avviene a cura o a nome del primo cedente, non si realizzano i presupposti della triangolare all’esportazione ex articolo 8, comma 1, lettera a), del Dpr 633/1972. Perciò, la prima vendita – con resa ex works o Fca – dal cedente nazionale al promotore anch’esso nazionale (cioè il primo cessionario-secondo cedente) si configura come una cessione interna imponibile Iva; e rimane non imponibile solo la vendita dal promotore al cliente finale extra Ue. Queste le conclusioni della risposta a interpello 283/2023 che stanno destando allarme negli operatori.
Le Entrate riaprono infatti una questione che il consolidato orientamento della Cassazione, inaugurato dalla sentenza 4098/2000 (e costantemente ribadito fino all’ordinanza 23828/2022), pareva aver risolto in modo equilibrato. Così da contemperare le esigenze di snellezza dei traffici internazionali, anche Ue, con quelle – doverose – di cautela fiscale (chiara volontà delle parti di eseguire una triangolazione e prova dell’uscita dei beni dall’Unione europea; presupposti necessari, con i dovuti adattamenti, anche per le triangolari con beni destinati ad altri Stati Ue). La posizione dell’Agenzia rischia dunque d’innescare contenziosi, mettendo nel mirino non solo il primo cedente (cui sarebbero richieste l’Iva e le correlate sanzioni), ma anche il promotore (per l’omessa regolarizzazione della fattura ricevuta senza addebito dell’imposta), senza considerare le ricadute in capo al primo operatore per la possibile mancata acquisizione dello “status” di esportatore abituale e l’eventuale indebito utilizzo del plafond (con relative penalità).
Vero è che la prassi ufficiale non si è mai allineata alle indicazioni della giurisprudenza di vertice, a dispetto di quanto affermato nella stessa risposta 283/2023 laddove è detto che ciò sarebbe avvenuto con la risoluzione 35/E/2010. È però altresì vero che segnali in tal senso non sono mancati, in particolare con riguardo alla questione della disponibilità dei beni in territorio nazionale da parte del promotore quando questa sia collegata a ragioni di tipo tecnico: test/collaudi (risoluzione 72/2000) o assemblaggio/certificazione dei beni da esportare (risposta 580/2020); ragioni che potrebbero comprendere anche quelle di tipo logistico, tanto più in una situazione (com’è nel caso dell’interpello 283) in cui il promotore non dispone neppure di spazi per lo stoccaggio/deposito dei beni acquistati.
Il solco fra l’impostazione del Fisco e quella della Cassazione è ormai profondo e forse servirebbe un intervento legislativo per chiudere definitivamente la questione (non parendo sufficiente, nella prospettiva delle Entrate, l’interpretazione autentica di cui all’articolo 13, legge 413/1991, peraltro successiva alla pragmatica risoluzione 500382/1991).
Nel frattempo, gli operatori dovranno porre in essere particolare cautela nell’approntare o rivedere i modelli di business.
A livello interpretativo potrebbe forsi considerarsi che le conclusioni della risposta vadano confinate al caso specifico e non esprimano un principio generale in così netta antitesi rispetto a quello giurisprudenziale. Nella fattispecie, in effetti, è precisato che il cliente finale in territorio extra Ue, acquista i beni dal promotore solo dopo che sono stati ivi eseguiti i test di collaudo a cura del promotore stesso. Come dire che, nella specifica ipotesi, potrebbe non realizzarsi la circostanza che caratterizza l’operazione triangolare ossia la “simultaneità” delle due vendite. In quest’ottica, la prova dell’esportazione assurge a condizione per la non imponibilità, ma non oblitera l’esigenza che la triangolazione si componga di due vendite già “perfette”, delle quali la seconda integra l’effetto traslativo della disponibilità del bene in favore del cliente finale estero (così la sentenza della Cassazione 22172/2013 in relazione alle triangolari con destinazione dei beni all’interno o fuori dell’Ue).
Del resto, anche la giustizia europea (sentenza C-526/13), seppur in un caso particolare (bunkeraggio di navi), ammette di fatto l’esistenza delle triangolari (diverse da quelle intracomunitarie in senso proprio) e afferma la possibilità di esentare la prima cessione purché la seconda intervenga quando il cessionario finale ha già la disponibilità dei beni.
IL PUNTO DI VISTA DELLA CASSAZIONE
1 La volontà iniziale:
Cessione nazionale in vista del trasporto estero
La disciplina delle triangolazioni implica che l’operazione, sin dall’origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà dei contraenti, come cessione nazionale in vista del trasporto al cessionario estero.
In tal senso, fra le altre: sentenze 4098/2000; 6114/2009; 2590/2010; 6898/2011; 23735/2013; 14405/2014.
2 Il trasporto:
Contratto anche non siglato direttamente dal cedente
La finalizzazione della prima cessione nazionale al trasporto al cessionario finale deve guidare l’interpretazione dell’espressione secondo cui il trasporto/spedizione deve avvenire «a cura» del cedente. Ciò non implica che il trasporto/spedizione debbano avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di questo.
In tal senso, fra le altre: sentenza 4408/2018; ordinanze 22332/2018; 23828/2022.
3 La merce:
Rilevanti le prove di uscita dal territorio doganale
In presenza di valide prove che comprovano l’uscita della merce dal territorio doganale, devono ritenersi soddisfatte le condizioni richieste per ritenere sussistente un’operazione triangolare e, quindi, una cessione all’esportazione “esente” da imposta.
In tal senso, fra le altre: sentenze 9825/2016; 1697/2016; ordinanza 22162/2017.
Fonte: Il Sole 24 ORE