L’assoggettabilità a fallimento di un’impresa non dipende dalla rilevazione puntuale dell’attività svolta al momento della presentazione della relativa istanza ma si deve avere riguardo all’attività da cui origina l’insolvenza. Di conseguenza, anche le società agricole possono fallire. Di recente, la Cassazione si è pronunciata sul tema del fallimento delle società agricole con le ordinanze 2162/2023, 3647/2023 e 4790/2023 affermando alcuni principi di interesse.
Va, anzitutto ricordato che per espressa previsione normativa, le disposizioni sul fallimento (e sul concordato preventivo) si applicano agli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, con esclusione degli enti pubblici. Restano, quindi, esclusi gli imprenditori agricoli, siano essi individuali o collettivi.
Tuttavia, possono esserci delle circostanze che compromettono la natura agricola dell’impresa con la conseguenza che la stessa può fallire. In particolare, nel caso della ordinanza 2162/2023, una Srl agricola era stata dichiarata fallita in quanto era stato accertato lo svolgimento di una attività commerciale sebbene la stessa, formalmente, fosse agricola.
La società dichiarava, infatti, di svolgere attività di coltivazione del fondo ai sensi dell’articolo 2135 del Codice civile; si occupava della cura e della coltivazione di organismi vegetali destinati alla produzione di biomasse con cicli non superiori al quinquennio e reversibili al termine di tali cicli, su terreni non boscati (che è considerata attività agricola a norma dell’articolo 14 del Dlgs 99/2004). Inoltre, la società, svolgeva l’attività di produzione di energia elettrica da biomasse ai sensi dell’articolo 1, comma 423 della Legge 266/2005. A causa della rottura dell’impianto e alla mancanza di risorse finanziarie per ripararlo, quest’ultima attività era tuttavia cessata.
Successivamente era stato dichiarato il fallimento. La società riteneva che la Corte d’appello avesse errato in quanto le aveva attribuito la qualifica di imprenditore commerciale ritenendo prevalente l’attività di produzione di energia da biomasse che era cessata da oltre un anno rispetto al momento di presentazione dell’istanza di fallimento. I giudici, al contrario, ritenevano fosse da considerare l’origine dell’insolvenza che, nel caso in esame, era rappresentata da una attività commerciale.
I giudici ricordano, infatti, che l’attività di produzione di energia, in quanto “connessa” non può essere prevalente rispetto a quella agricola che deve rimanere principale. Tuttavia, per la società era però stata accertata la prevalenza dell’attività industriale di produzione di energia sull’attività propriamente agricola della produzione di biomasse. Inoltre, i giudici ricordano che l’interruzione della produzione di energia da biomasse non determinava il mutamento di oggetto sociale e non dimostrava lo svolgimento esclusivo o prevalente di attività agricola.
Pertanto, anche l’impresa agricola che svolge una attività commerciale può essere assoggettata al fallimento.
Fonte: Il Sole 24 Ore