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Comunità Energetiche tra forma giuridica e regolazione dei rapporti interni

Limitazioni normative di matrice pubblicistica, ruolo dell’ente locale e regolazione dei rapporti: il carattere comunitario, democratico e partecipativo che caratterizza le CER pone alcune sfide in tema di governance e gestione interna

Il recente completamento della normativa regolatoria di secondo grado ha portato la dottrina, anche civilistica, ad affrontare compiutamente i nodi di natura giuridica in relazione al processo di istituzione di una Comunità Energetica Rinnovabile (CER) e all’assetto regolatorio dei rapporti interni.

Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono considerate i nuovi attori del mercato energy, si caratterizzano per un sistema di partecipazione aperto ed una struttura organizzativa interna, che deve radicarsi in un modello di governo democratico affidato ai membri soci.

Si parla di soggettività aperta, in particolare, in relazione al meccanismo procedurale di accesso che deve essere garantito. Il principio della porta aperta impone altresì la considerazione di alcuni fattori che consentano di mettere in giusta connessione il principio di eguaglianza sostanziale con il ruolo che deve avere l’ente locale.

Ovviamente, il carattere comunitariodemocratico e partecipativo che caratterizza le Comunità Energetiche Rinnovabili pone altresì delle sfide in tema di governance e gestione interna.

Un primo tema riguarda la mancanza di una scelta chiara del legislatore nazionale riguardo la forma giuridica, anche alla luce delle recenti posizioni dei giudici contabili e delle limitazioni normative di matrice pubblicistica. 

Un secondo tema concerne il ruolo dell’ente locale. 

Un terzo tema concerne la regolazione dei rapporti nella CER, anche in considerazione della previsione della libertà di ingresso e uscita dalla Comunità Energetica da parte dei suoi partecipanti.

Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, anzitutto va detto che essi possono avere un ruolo diretto nella Comunità Energetica, ovvero indiretto, di mero facilitatore.

Se l’ente locale decide di avere un ruolo diretto, tale scelta rischia in concreto di scontrarsi con alcuni limiti e condizionamenti normativi. Il primo, quello più rilevante, riguarda la forma giuridica della Comunità Energetica.

Se è vero che il diritto dell’Unione non accenna a preferenze per il modello di organizzazione, questa “ non scelta ” crea di fatto grandi incertezze operative.

Altri paesi europei hanno operato diversamente, dedicando particolare attenzione anche alla forma della Comunità Energetica. In Italia, invece è stata confermata la scelta unionale: agli operatori non è stato imposto l’utilizzo di una forma giuridica precisa e predeterminata. Ciò che rileva è l’assenza di finalità di lucro o la marginalizzazione della finalità di lucro, che deve divenire obiettivo secondario.

Da qui l’apertura di un dibattito dottrinale avente ad oggetto la miglior forma giuridica per dare vita ad una Comunità Energetica Rinnovabile.

Il Consiglio Nazionale del Notariato, nel suo studio n. 38/2024, ha effettuato una compiuta analisi in tema di soggettività giuridicaescludendo anzitutto la possibilità di utilizzo di forme di associazione temporanee di impresa (in quanto non viene creato un soggetto distinto da coloro che compongono il raggruppamento temporaneo) o di partenariato pubblico privato (in quanto contratto e non una nuova entità giuridica) che non confluisca poi nella creazione di un ente diverso dai contraenti (ma anche in tal caso le difficoltà non sarebbero secondarie, in ragione della diversità tra le forme ammesse dall’art. 194 del Codice dei contratti pubblici per le società di scopo e quelle contemplate dalla disciplina in tema di Comunità Energetiche). Parimenti, vengono escluse le forme giuridiche esclusivamente lucrativesocietà di persone e capitali, ritendo accettabile unicamente una finalità di lucro secondaria, come nel caso di una cooperativa a mutualità prevalente o società con qualifica di impresa sociale. 

Nelle realtà pare predominare ancora lo schema più semplice (o semplicistico) della associazione, ovvero quello della società cooperativa (a mutualità prevalente) perché è una forma organizzativa che garantisce la partecipazione attiva.

Il rapporto pubblico privato che caratterizza la forma giuridica prescelta va tuttavia visto ed affrontato anche dall’angolo visuale del giudice contabile.

Nel contesto pubblicistico le partecipazioni societarie sono infatti consentite a certe condizioni, se creano opportunità per la collettività, perseguono finalità istituzionali di interesse pubblico e non contrastano con la normativa di settore, dal c.d. Decreto Madia (il D. Lgs. n. 175/2016) al recente Testo unico sui servizi pubblici locali a rilevanza economica (il D. Lgs. n. 201/2022).

Anche in questa prospettiva, più propriamente dunque di matrice più pubblicistica, non sono mancati contrasti.

Diverse sezioni di controllo hanno infatti adottato differenti metri di valutazione nell’esaminare la possibilità per un ente locale di far parte di una Comunità Energetica Rinnovabile. La Corte dei Conti del Friuli-Venezia Giulia ha, per parte sua, riconosciuto la possibilità per un ente locale di costituire una Comunità Energetica Rinnovabile in forma di società cooperativa; la Corte dei Conti della Campania ha invece ritenuto non praticabile la costituzione di una Comunità Energetica Rinnovabile, con partecipazione di un ente comunale, in forma di società consortile a responsabilità limitata.

In questo quadro, non possono essere dimenticate azioni di matrice normativa da parte di alcune Regioni italiane che hanno valorizzato l’adozione di preventivi protocolli d’intesa (si vedano ad esempio la Regione Piemonte con Legge n. 12/2018 o la Regione Liguria con la Legge n. 13/2020).

Dunque, l’attuale scenario che emerge dalle considerazioni che precedono richiede un approccio innovativo e stimola tutti gli operatori ad individuare soluzione operative che consentano, nel pieno rispetto delle diverse fonti normative applicabili, di sviluppare uno strumento operativo considerato rilevante nell’ambito della più ampia politica di transizione green.

Operatori di settore e enti locali sono quindi chiamati a trovare un rinnovato punto di incontro per dare concreta attuazione a questo nuovo scenario.

Nel fare ciò non si può tuttavia dimenticare un ulteriore nodo, non trascurabile, e che afferisce questa volta alla governance interna e ai possibili contrasti tra i diversi interessi in gioco.

I soggetti che possono entrare a far parte di una CER (imprenditori commerciali o agricoli, persone fisiche o enti privati anche di ricerca, enti religiosi e enti pubblici) presentano obiettivi e caratteristiche differenti e la regolazione dei rispettivi rapporti deve partire dall’osservazione per cui l’art. 32 del D. Lgs. n. 199/2021 richiede che vengano mantenuti i “diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio venditore” e che si possa “recedere in ogni momento dalla configurazione di autoconsumo, fermi restando eventuali corrispettivi concordati in caso di recesso anticipato per la compartecipazione agli investimenti sostenuti, che devono comunque risultare equi e proporzionati”.

Tali indicazioni fanno sorgere immediatamente una riflessione. Al momento dell’adesione devono essere messe a disposizione di tutti i potenziali soggetti aderenti alla CER le informazioni riguardanti la struttura della CER, i costi di gestione della stessa, le modalità di funzionamento, le modalità di ripartizione degli incentivi, la gestione di eventuale produzione eccedente l’autoconsumo, gli investimenti effettuati e le modalità di recupero dello stesso.

In sostanza, non appare pensabile che una CER, tenuto conto del suo spirito ed obiettivo di valorizzazione della componente ambientale, sociale e di incentivazione all’uso di fonti rinnovabili, non sia in grado di rendere accessibili tutte le suddette informazioni ad uno qualunque dei soggetti che possono entrare a farvi parte.

La seconda è legata all’impossibilità che vengano costituite CER tramite l’imposizione di una scelta autoritativa. Anche nel caso di partecipazione attiva e significativa di un’amministrazione pubblica (specie locale) non vi potrà mai una Comunità Energetica Rinnovabile che porti all’imposizione di adesione alla stessa da parte di tutti i produttori e/o consumatori (o prosumer che siano) che si trovino in determinate situazioni (banalmente, ad esempio, non sarebbe possibile imporre un obbligo di adesione ad una CER sul presupposto che vi debbano aderire per scelta amministrativa tutti i soggetti ricadenti nel territorio riferibile alla medesima cabina primaria). L’adesione alla CER deve essere e rimane necessariamente del tutto volontaria.

Volontaria resta quindi anche la scelta di uscita.

Come ricordato anche dal Consiglio Nazionale del Notariato nel proprio Studio n. 38/2024, occorre sempre garantire anche il recesso ad nutum del cliente finale, potendo tuttavia calibrarne l’efficacia verso la CER al verificarsi di determinate condizioni (il Consiglio del Notariato suggerisce eventuali meccanismi funzionali a mantenere un’invarianza di consumi tra il soggetto uscente ed un soggetto entrante). Tali condizioni possono dipendere, come visto, anche da un eventuale impegno del membro della Comunità Energetica Rinnovabile a mantenere la propria posizione sino ad una determinata scadenza (perché connessa, ad esempio, ad investimenti effettuati nell’ambito di una CER).

È chiaro allora perché le informazioni a disposizione di coloro che decidono di aderire alla costituzione di una CER (promossa da un ente locale o da altri operatori) o che dovessero valutare l’ingresso in una CER esistente devono avere un livello rilevante di trasparenza.

Tutti i fattori in questione devono confluire in un contratto di diritto privato regolativo dei rapporti, secondo quanto disposto dall’art. 32 del D. Lgs. n. 199/2021.

In tale contratto, oltre a tutti gli elementi variamente sopra ricordati, occorrerà disciplinare puntualmente anche quello relativo al mutamento del quadro normativo di carattere generale e dei meccanismi incentivanti.

Si tratta di un’esigenza avente riflessi anche contingenti. In effetti, lo scorso 2 novembre 2023 è stata pubblicata la direttiva n. 2023/2413, la Direttiva RED III, che dovrà essere recepita nel nostro Paese entro il 2025.

Sotto un secondo profilo, occorre coordinare l’imposizione di una regolazione privatistica con le regole di funzionamento delle amministrazioni pubbliche, anche locali, che possono entrare a far parte di una CER. Tale coordinamento è imposto dall’art. 1, comma 1-bis, nella Legge n. 241/1990 e dall’art. 8 del D. Lgs. n. 36/2023.

La prima norma in discorso ha previsto, come noto, che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. La seconda, tra l’altro, che “nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge”.

Pertanto, il contratto privatistico di regolazione della CER non potrà dimenticare la gestione della posizione, comunque pubblica, di uno dei player che allo stato sta prestando molto interesse all’effettiva implementazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili.

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*A cura di Maria Cristina Colombo e Mattia Casati, Partner di Galbiati Sacchi Associati

Fonte Il Sole 24ORE

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