E’ compatibile la composizione negoziata della crisi (Cnc) con la previsione di un piano di carattere dichiaratamente liquidatorio, privo di qualunque ipotesi di continuità? Questo uno dei quesiti che – a fronte di un quadro normativo non scevro da dubbi – devono porsi le imprese che mirano a soddisfare i propri creditori ricorrendo non alla prosecuzione della loro attività, bensì alla liquidazione del patrimonio.
Lo scenario offerto dalla giurisprudenza di merito lascia trasparire – da un punto di vista eminentemente numerico – una netta prevalenza di pronunce volte a negare tout court l’ammissibilità di piani puramente liquidatori nell’ambito della Cnc, distinguendosi (peraltro) una preclusione di carattere soggettivo, relativa alle società in liquidazione che accedano allo strumento in oggetto, rispetto a una preclusione legata alle oggettive caratteristiche liquidatorie del piano proposto.
Il tema è riapparso in una pronuncia del Tribunale di Pavia (ordinanza 8 luglio 2024), i cui giudici hanno respinto un ricorso per la conferma delle misure protettive, condividendo quei precedenti giurisprudenziali, secondo i quali il ricorso potrebbe essere accolto solo laddove sussista una ragionevole probabilità di risanamento dell’impresa nonché di prosecuzione delle sue attività. Nel caso di specie, non esisteva più attività imprenditoriale, prefigurandosi la debitrice di soddisfare i propri creditori attraverso la dismissione di un compendio immobiliare (capannoni e uffici) privo di attitudine aziendale.
A sostegno della propria decisione, il Tribunale di Pavia ha richiamato il tenore letterale dell’articolo 12, comma 1, del Codice della crisi, che fa riferimento, al fine del risanamento dell’impresa, alla nozione civilistica dell’imprenditore che svolge professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o scambio di beni o servizi, attività all’evidenza ormai assente nel caso in commento.
In termini di analisi economica e comportamentale del diritto, l’interpretazione sposata dai giudici pavesi ha l’effetto di contrastare l’abusivo ricorso alla Cnc al fine di accedere al concordato semplificato eludendo gli stringenti vincoli introdotti dal legislatore rispetto ai concordati preventivi liquidatori. E infatti, la ragione idonea a giustificare la deroga alle regole ordinarie e la natura premiale del concordato semplificato andrebbe ricercata, come osserva il provvedimento in esame, proprio nella possibilità di preservare la continuità aziendale, alla cui salvaguardia le misure protettive sono funzionali. Le norme in materia di Cnc farebbero – quindi – riferimento quasi esclusivamente al risanamento di un’impresa in funzionamento, ovvero mediante cessione dell’attività aziendale.
In questa direzione pare, peraltro, indirizzato il decreto correttivo (il cui testo è atteso per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) che sposta l’attenzione dalla verifica dello stato di insolvenza (e, quindi, dallo stato attuale dell’impresa) a uno scenario probabilistico di risanamento.
Peraltro, già il Tribunale di Bologna (decreto 8 novembre 2022), indicava che lo strumento della Cnc sarebbe stato precluso solo per le imprese ampiamente decotte al momento della richiesta della nomina dell’esperto, risultando invero accessibile a società che versassero in stato di liquidazione, sul presupposto che l’articolo 12 del Codice della crisi è norma neutra rispetto all’eventuale stato di crisi o insolvenza dell’imprenditore istante. Inoltre, il tenore dell’articolo 21 del Codice della crisi – secondo cui, quando nel corso della Cnc risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, egli gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori (una sorta di trust autodichiarato ex lege) – conduce a riconoscere al medesimo imprenditore, ancorché insolvente, la possibilità di accedere alla Cnc. Su tali presupposti, pertanto, il giudice bolognese ha affermato che diventa centrale, nella valutazione di conferma delle misure protettive, non tanto il punto (statico) di partenza della procedura, quanto quello (dinamico) di approdo, ovverosia la possibilità di concreto risanamento dell’impresa attraverso le trattative con i creditori.
Se ne dovrebbe ricavare che nulla osti all’accesso alla Cnc anche da parte di una società in liquidazione. Diversamente, il piano oggettivamente liquidatorio – come quello sottoposto al Tribunale di Pavia – non pare in quanto tale indirizzato a un effettivo risanamento; salvo che si aderisca all’interpretazione estensiva recentemente sposata dal Tribunale di Perugia (ordinanza n. 299 del 15 luglio 2024), in forza della quale la Cnc potrebbe essere finalizzata anche al risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa tramite la soddisfazione dei creditori con i proventi della liquidazione dell’attività.
Fonte: Il Sole24ORE