Negli ultimi anni l’erogazione di agevolazioni sotto forma di credito d’imposta ha rappresentato una costante delle policies fiscali: di qui la crescente importanza del regime applicabile in caso di recupero dei crediti indebitamente fruiti. Numerose, al riguardo, le criticità emerse nella prassi applicativa. Una prima riguardava le sanzioni amministrative: la legge (articolo 13, commi 4 e 5, del Dlgs 472/1997), pur prevedendo misure diverse per l’utilizzo di crediti non spettanti (30%) e inesistenti (dal 100 al 200%), non scolpiva in modo adeguato la differenza fra le due fattispecie. Analoga opinabilità investiva i termini di decadenza per il recupero (cinque od otto anni dall’utilizzo); infine sul versante penale era incerto se ai fini dell’integrazione dei reati di utilizzo di crediti non spettanti o inesistenti (articolo 10 quater, commi 1 e 2, del Dlgs 74/2000) rilevassero le definizioni presenti nella normativa fiscale.
Se a ciò si aggiunge la volatilità delle interpretazioni circa i requisiti sostanziali di accesso ai crediti ricerca e sviluppo, si capisce perché fosse più che opportuna la direttiva della legge delega (articolo 20, comma 1, lettera a, n. 5) di introdurre una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti.
In sede di attuazione, il Dlgs 14 giugno 2024 n. 87 ha innanzitutto optato per l’adozione di una comune definizione di credito insistente o non spettante ai fini penali ed amministrativi; definizione collocata nell’articolo 1, comma 1, lettere g quater e quinquies, del Dlgs 74/2000 ed espressamente richiamata nell’articolo 13 del Dlgs 471/1997.
Nella nuova nozione di credito inesistente si è espulso il riferimento alla possibilità di rilevazione tramite controllo automatico, in effetti distonica rispetto ad una distinzione il cui baricentro deve ruotare sul disvalore del comportamento del contribuente. Di conseguenza, vengono adesso definiti come inesistenti i crediti per i quali mancano, in tutto od in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento (sanzione 70%) ed altresì quelli per i quali detti requisiti sono oggetto di rappresentazione fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici (sanzione dal 105% al 140%).
Sulla scorta di tale disciplina non è più sostenibile che per credito inesistente possa intendersi – facendo leva sul significato che a tale aggettivo comunemente attribuisce il legislatore tributario – solo quello fondato su spese e/o attività fittizie od artificiosamente rappresentate: al contrario inesistente è anche il credito che, sebbene basato su costi e operazioni reali, è carente, in tutto od in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento.
La questione si complica quando si esamina la definizione di credito non spettante, punito con la sanzione del 25%, in luogo di quella attuale pari al 30%. Mentre infatti chiara è la qualificazione come non spettanti dei crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previsti dalle leggi, in misura superiore a quella stabilita od in difetto degli adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza (articolo 1, comma 1, lettera g quinqiues, nn. 1 e 3, del Dlgs 74/2000), ambigua è la ulteriore previsione collocata al n. 2) della medesima lettera g quinquies). Ivi si legge che sono non spettanti i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi particolari o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento.
Piuttosto che fare chiarezza, siffatta definizione introduce una impalpabile e scivolosa differenziazione tra «requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento» la cui assenza rende il credito inesistente e «ulteriori elementi particolari o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento», la cui mancanza connota il credito come non spettante. Sebbene introdotta per stabilire quando si applica la sanzione del 25% e quando quella del 70%, la norma rischia di trasmettere lo sconfortante messaggio che per la fruizione del credito siano necessari, oltre ai requisiti codificati, particolari elementi e qualità non specificamente indicati nella normativa e che tuttavia ne possano determinare il disconoscimento: situazione nella quale – alla luce dei principi del diritto punitivo – mancherebbero in realtà in radice i presupposti per l’irrogazione di una sanzione per difetto di tassatività.
Sforzandosi di dare un significato costruttivo alla nuova disposizione, il credito dovrà adesso essere qualificato come non spettante ogniqualvolta il recupero si fonda sul difetto di un elemento o qualità richiesti dalla legge e tuttavia da essa non puntualmente definiti a causa della loro natura tecnica e settoriale; e viceversa come inesistente in carenza dei requisiti fondamentali direttamente e integralmente normati.
Il recente intervento correttivo può essere considerato come un primo segnale di buona volontà, da correggere e integrare sotto più aspetti che riportino a sistema la materia. Il credito, di regola, va esposto in dichiarazione: molto più semplice sarebbe dunque distinguere le più gravi fattispecie di comportamenti frodatori da tutte le altre forme di illecita fruizione riconducibili al genus dell’infedele dichiarazione. Sul versante dell’accertamento, il termine dovrebbe essere unificato in quello ordinario, come avviene negli altri casi di frode ed il contraddittorio preventivo (eliminato dall’articolo 7 bis del Dl 39/2024 per il recupero di crediti inesistenti) ripristinato. Le sanzioni, infine, dovrebbero seguire la regola ordinaria di riscossione solo dopo la decisione del giudice.
Fonte: Il Sole24ORE